Il Ministero degli Esteri apre il portale all’italiano

Il Bel Paese dove il sì suona
lo vuole esportare
Latina ex lingua

Il ministero degli Affari Esteri vuole incrementare la diffusione della lingua italiana nel mondo anche aprendo il portale  www.linguaitaliana.esteri.it , che fornisce informazioni su scuole e incontri utili ad apprendere la lingua di papà Dante e dei tanti suoi nipoti e pronipoti più o meno fedeli ai suoi insegnamenti.

Il sito è in italiano. Invece del testo a fronte in inglese forse già progettato – quasi una contraddizione programmatica in termini – sarebbe più utile affiancargli un testo, semplificato, in latino.
L’italiano costituirà il sempre verde fogliame della musicalità linguistica che ristora le gole di cittadini stranieri arse dalle troppe “r” e “t” e “k” pronunciate nel parlare le loro lingue, e  acquieterà le loro orecchie già sufficientemente devastate se appartenenti a residenti in paesi industrializzati.
Il latino farà invece visionare a questi stranieri, convalescenti nella ritrovata pace fonica italiana, anche le radici della nostra lingua piena di vocali e ciclicamente scritta con abilità da poeti prosatori e saggisti nati nella penisola e negli arcipelaghi italiani, aiutandoli a declinarla e coniugarla decentemente. L’ascolto e la lettura di tanti nostri professionisti della comunicazione legittima inoltre il sospetto che di questo supporto radicale necessitino anche gli alunni di nascita e ascendenze italiane.

Pare ci siano due milioni di studenti all’estero che provano ad andare oltre al “Ciao come stai?” – su circa otto o nove miliardi di terrestri non è il caso di pronunciamenti trionfalistici – e 400 comitati della Dante Alighieri intenti alla divulgazione del nostro sinfonico e talvolta melodrammatico periodare.
Per incrementare questo numero potrebbe risultare utile insegnare la nostra lingua anche agli immigrati che l’Italia accoglie. Nel peggiore dei casi e cioè di uno sbrigativo e utilitaristico analfabetismo di ritorno a favore di lingue commercialmente più diffuse, siano almeno messi in grado di avere un domani nella loro memoria un “Grazie” e non un vocabolo equivalente, che risulterebbe offensivo perché pronunciato in una lingua appartenente a nazioni che non si sono mai curate minimante di loro.

Per noi italiani risulta in ogni caso confortante sapere che Il Bel Paese dove il sì suona andrà comunque avanti anche senza ringraziamenti, perché da millenni è abituato ad avere ciò che ha donato.

La Turchia in Europa è la fine dell’Europa    Claudio Susmel

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