FAVOLE

Aut insanit claudus
aut facit versus.

Giovannino Guareschi ha amato molto le favole.
Cosa che non gli ha impedito di essere uno dei più grandi giornalisti italiani del ‘900.
Per anni è stato lo scrittore italiano più letto al mondo.

Chi scrive ama molto le favole.
Cosa che non gli ha impedito di tenere per alcuni anni una rubrica nella cronaca di un quotidiano e di scrivere un saggio geografico – storico sui confini italiani.
Da anni ama scrivere per chi ha piacere di leggerlo.

Claudio Susmel


Due re ambiziosi

Sui  monti intorno alla Restonica, il fresco fiume che sfiora la rocciosa città di Corte, correva circa due secoli fa un Re Leone molto ambizioso, ma anche molto coraggioso e leale.
Si chiamava Paoli.

Era riuscito a fare delle montagne che stanno al centro della Corsica il suo regno incontrastato e lo amministrava con giustizia. I monti gli piacevano perché lo aiutavano a difendere la sua isola più delle spiagge e delle pianure, dove qualche nemico straniero  avrebbe potuto sbarcare ed avanzare più facilmente.
I monti però erano alti, molto alti; così lui non guardava oltre i confini della Bellissima, che un tempo era riuscito a conquistare quasi completamente e che considerava tutto il suo universo. Dunque non vedeva che al di là del mare intorno all’Arcipelago occidentale italiano, vicine vicine vi erano le altre regioni d’Italia, governate da Re Leone che parlavano la sua stessa lingua; né si accorgeva che oltre i mari e le Alpi che circondavano e circondano la nostra bella Italia, re senza anima e senza scrupoli guardavano con cupidigia la sua Bellissima, la sua Corsica. Perciò invece di trovare un accordo con gli altri leoni dell’isola, invece di rivolgersi agli altri Re Leone del resto d’Italia, Paoli preferì ascoltare il sibilo mellifluo degli ambasciatori che vennero a nome dei re dei serpenti, re che governavano terre situate al di là delle Alpi.
Il nostro leone ascolta gli emissari dei serpenti, ma per ascoltarli deve abbassarsi e per abbassarsi deve sporcarsi almeno un poco di fango. I serpenti sorridono sorridono sorridono e intanto strisciano strisciano strisciano intorno a lui, promettendo il loro aiuto al leone ambizioso che voleva diventare re. Cambiando continuamente pelle e lingua, una volta gli parlano della loro terra come d’un regno sul quale il sole non tramonta mai, poi come della patria d’una rivoluzione che avrebbe reso tutti uguali, e un altro giorno gli magnificano un loro giovane console che avrebbe modernizzato paesi e città, e il giorno dopo ecco la loro nazione diventare un grande impero il cui re o commissario o console o imperatore o presidente sarebbe restato ovviamente nella loro grande capitale, però lui …“Viceré, m’accontento, viceré del regno dei Leoni di Corsica”. Con queste parole li ha interrotti infine Paoli.
Oh, come posso descrivervi fratellini miei, l’incredibile abilità con cui gli emissari del regno dei serpenti mossero il capo così che sembrarono dare al leone quel consenso che lui desiderava ricevere? Posso descrivervi quel lampo fugacissimo di soddisfazione,  prontamente spento,  negli occhi degli stranieri che avevano capito finalmente come intrappolare il nostro Re Leone? No, non ci riesco a descrivervi quel loro abbassare la testa, quel loro sfiorare la potente zampa del leone con complicità, quel loro congedarsi con un: ”Ssssiamo intesi allora!”, che nulla affermava di certo e tutto prometteva all’ingenuo Leone di Corsica. Si salutarono dunque, dandosi appuntamento per la mattina dopo sulla spiaggia. Lì i serpenti avrebbero chiesto a Re Leone di aprire un varco tra i suoi per lasciarli sbarcare.
Sibilarono via gli emissari del regno dei serpenti.
S’addormentò il nobile Re sotto un maestoso castagno.

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Paoli ha appena cominciato a sognare, quando viene svegliato da un vento gelido, sconosciuto alla bellissima isola che sta al centro dell’Arcipelago occidentale italiano. Su un rialzo erboso poco lontano da lui è apparso sotto la luna pallidissima il fantasma d’un altro re. Il fantasma, tremolante, ritto sulle sue gambe, è un re d’uomini. Tiene gli occhi bassi, che poi a fatica alza, volgendosi verso Paoli.
“T’ho svegliato io. Sono Re Ugone. Quattro secoli fa ho regnato sul Regno di Mezzo, nell’Isola Grande. Non ascoltare i serpenti d’Oltralpe che parlano lo zuccheroso francese, né quelli delle Isole della Nebbia che parlano il ruvido inglese. Ti tradiranno come hanno tradito me i boriosi aragonesi, che volevano solo fare rotta e schiavi sulle isole del Mare Nostro. Io li chiamai per diventare Viceré di tutta la Sardegna. Io, per prevalere sui miei fratelli, chiamai quegli stranieri che diventarono carnefici dei miei fratelli e dei miei soldati, facendo anche di me un servo. Io li chiamai, perché superbo e stolto volevo regnare da solo invece di condividere la mia dignità con gli altri re dell’Isola Grande, dell’Arcipelago, della Gran Terra. Mi parlarono promettendo tanto ma senza spiegare bene cosa, esattamente come stanno facendo ora con te questi altri stranieri. Ma a causa del mio peccato contro i fratelli che parlavano la mia stessa lingua, il mio regno pagò con una schiavitù di quattrocento anni. Non ascoltare i serpenti nobile Re Paoli … non ascoltarli …”

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Il fantasma svanì, e mentre il vento diventava meno gelido rimase nell’aria un leggero inebriante profumo di mirto che avvolse i colori del castagno. Ed era un buon odore, ed erano bei colori.
Tremò un poco la criniera di Paoli alle parole del fantasma ed ebbe vergogna d’averne paura, ma poi pensò che lui era vivo ed Ugone era morto da più di quattro secoli. Pensò che la guerra la fanno i vivi, dimenticandosi che la storia dei vivi è guidata per lo più dai morti.

Così il giorno dopo Paoli andò sulla spiaggia e lasciò passare i serpenti, e questi sempre parlando e sorridendo lo oltrepassarono e una volta che furono in tanti sulla sua terra gli dichiararono guerra. In un’ultima battaglia, mentre sbocciavano i bianchi fiori di primavera, seimila serpenti affrontarono quattromila leoni su un ponte chiamato Ponte Nuovo.
Vinsero i serpenti.

I serpenti circondarono Paoli, lo imprigionarono e lo mandarono via dalla sua terra.
Poi parlarono sempre bene di lui, non però usando la sua lingua ma la propria, così che i suoi concittadini, rimanendo ogni giorno che passava un poco più orfani della lingua dei loro padri, perdessero ogni giorno che passava un poco di più la coscienza della loro identità, in modo che ai patrigni invasori fosse più facile sottometterli.

Il nobile Paoli accettò lo sbarco  perché si vergognò d’aver paura o perché non capì del tutto il pericolo cui andava incontro con quegli accordi?
Fu soltanto troppo ambizioso o era ormai troppo tardi per tornare indietro?
Non lo so fratellini miei, l’unica cosa che so di sicuro è che Paoli  andò più volte a parlare con i serpenti, e secondo me fu proprio questo ad essergli fatale, perché i serpenti non si ascoltano.

I serpenti si schiacciano.

Claudio Susmel

 

Favola di Natale

C’era una volta un re leone.
Regnava sugli animali della profonda foresta che copriva un tempo la Gorgona, l’isoletta dell’Arcipelago occidentale italiano situata più a nord, quella che sta proprio di fronte alla bella città di Livorno.

Era un leone saggio, perciò non insuperbiva mai; si limitava a compiacersi ogni tanto della sua grande forza. Non era brutto e le femminucce del bosco facevano soltanto finta di aver paura quando si avvicinava, ma poi si guardavano bene dal fuggire lontano da lui.
Le scoiattoline in particolare lo guardavano da sotto in su, lanciavano le belle code in alto e si muovevano allegre, sfiorandolo con le loro pellicce bianche e nocciola. Il leone le guardava e nonostante tutti gli impegni di governo si fermava spesso vicino a loro. Gli piacevano le scoiattoline che lasciavano al padrone di casa le preoccupazioni per il lavoro, la guerra ed i libri, e non si tratteneva troppo a parlare con le altre suddite che lavoravano per la prosperità del suo regno.

Un giorno che stava incedendo maestosamente nella foresta, come si conviene a un Re Leone, gli mancò all’improvviso la terra sotto tre dei suoi piedi e nello stesso momento si sentì tirare in su dal quarto: preso al laccio! Una trappola degli uomini, che sono bruttini bruttini ma astuti, lo aveva catturato.
Povero leone, lui, l’orgoglioso re della foresta, a testa in giù! Si agitò, ruggì, tirò delle zampate in su, a destra, e dopo un po’ anche a sinistra, ma l’unico risultato che ottenne fu di spaventare ancora di più i suoi sudditi che abituati com’erano ad ubbidirgli, a temerlo, ad ammirarlo, non si capacitavano che lui stesse male, che potesse aver bisogno d’aiuto.
Una scoiattolina, proprio quella che a lui piaceva di più, capitò lì vicino e vedendolo prigioniero sgranò gli occhi per lo stupore. Lui volle parlarle, ma involontariamente, a causa del dolore che provava, ruggì forte. Lei si spaventò, e pur amandolo, con le lacrime agli occhi ed agitando la coda, fuggì via.

Tac, tac, tac, tac, tac … tic, tic … tic, tic … tac …
Cos’è questo rumore? La bianca grande luna è ormai su, in alto, nel cielo immenso, tra le sue piccole stelle d’argento.
Nella foresta tace tutto; anche la scoiattolina prediletta dal re, con un ultimo elegante movimento della coda si è tolta una piccola lacrima dagli occhi e ritirata la testolina dentro il cavo del suo albero, coperte le orecchie per non sentire i ruggiti di dolore sempre più rauchi e deboli del suo amato re, si è addormentata.
Intanto nella valle vicina alla foresta, gli uomini vanno in lunghe file sotto la neve, ad inginocchiarsi di fronte ad un altro re appena nato, il loro re.

Tic, tic, tic, tic … tac, tac …
Cos’è questo rumore? L’unico rumore nella notte blu e silenziosa.
Il leone che fu re, appeso per una zampa, non ha più una sola corda vocale in grado di ruggire. Da tre giorni e tre notti è lì, a testa in giù, affamato, assetato. Comincia a lamentarsi, ma piano, con dignità.
Tic, tic … tic … tac.
Lo strano rumore non si sente più!
Il leone si lamenta. Il leone si lamenta. Il leone si lamenta.

“Com’è successo?”
Il prigioniero, sentita questa voce piccola ma sicura cadere giù dall’alto cielo libero, ha uno scatto, cerca di sollevarsi, ed ora proprio ora ritrova un ultimo ruggito dimenticato in chissà quale parte dell’orgogliosa anima sua. Poi ripiomba a testa in giù.
Sul ramo più alto di un verde albero cresciuto vicino alla fossa che circonda il re, su un ramo tanto alto che neanche un leone libero e sano avrebbe potuto raggiungerla, sta una castorina tutta raccolta su sé stessa, attenta, con i due dentini bianchi davanti, e gli occhi intelligenti. Non si scompone per lo scatto del leone. Poco prima lo ha sentito lamentarsi, lo ha visto e si messa al sicuro prima di parlargli. Ma ecco che gli rivolge di nuovo la parola.
“Ora vedo tutto: i soliti inganni degli uomini, con i soliti re maestosi che ci cascano; a me però non va di sentire il mio re lamentarsi!”
“Chi sei? Non t’ho mai visto durante le mie ispezioni”.
“Più che ispezioni, parate! Comunque sono una tua suddita fedele, solo che quando si lavora con la testa la coda rimane bassa, e tu hai sempre guardato soltanto le code alte”.
“Cos’era quel rumore?”
“Taglio i tronchi del bosco per costruire la mia casa”.
“Così tardi, di notte?”
“Devo costruire anche la diga, per poter avere l’acqua corrente dentro casa”.
“Per questo hai quei due dentini davanti così grandi?”
La castorina, ora che il leone la sta guardando così apertamente, si copre i dentini con la piccola ma soffice coda, lasciando solo i buoni occhi brillare nella notte blu e profumata.
Eh bambini, il nostro leone, ex re, è in questo momento davvero povero povero, debole debole, ma si vergogna di chiedere aiuto. Socchiude gli occhi, trattiene i gemiti. Si sforza di non agitare le zampe.

La castorina capisce. Piano piano, rapida rapida, scende dall’albero, si avvicina alla fossa, salta sul grosso bastone di legno ficcato dentro una parete cui è legato il laccio che ha preso il leone e
Tac,tac, tac …
E’ notte, è notte tarda, ma la castorina continua a lavorare …
Tac, tac, tac … tic, tic ……… tatatatatac!
Il leone è libero!
Ruggito di fuoco. Balzo in su. Dritto sulle zampe. La foresta è di nuovo sua.
E’ davanti alla castorina che tiene gli occhi bassi.
“Eri da molto lì?”
“Tre giorni e tre notti”.
“Nessuna scoiattolina ti ha dato da mangiare?”
“No”.
“Neanche da bere?”
“No”.
Dovete sapere cari bambini, che anche le castorine, anche quelle buone, sono pur sempre delle femminucce, e un’occasione come questa per sminuire un’altra femminuccia non se la sarebbero lasciata scappare per nulla al mondo.
Il leone la guarda. La castorina si copre di nuovo i dentini grandi che ha davanti con la piccola ma soffice coda, lasciando solo i buoni occhi brillare maliziosi nella notte blu piena d’incanto. Si gira piano. Non del tutto. Lo guarda. Comincia a camminare.
E che può fare fratellini miei un leone che è stato appena liberato da lei? La segue.

Eccoli camminare in fila per il sentiero che costeggia il fresco fiume, verso tre luccicorini che brillano lontani. Ed ora guardateli sotto le tremolanti luci dell’altissimo cielo, mentre avanzano su un pavimento di tronchi legati uno all’altro, ancorato al centro del fiume, lontano dalle rive insidiose.
Tre lucciole illuminano l’ingresso che si apre sul davanti di una piccola capanna di legno. Sbadigliando e volando via, salutano la loro amica castorina: ”Hai fatto un po’ tardi stasera, buona notte!”

Loro due sono dentro la capanna.
La castorina accende il fuoco nel camino, apre una finestrella sul pavimento di tronchi odorosi e pesca nell’acqua che scorre di sotto, poi  chiude e dà da bere al suo leone ferito. Il leone lascia fare; è di fronte al fuoco, si scalda; la zampa ferita comincia a fare meno male. La castorina porta in una ciotola di legno la farina di castagne con il latte caldo. Il leone è bambino.
Fermi di fronte al rosso fuoco. Ogni tanto il leone la guarda, allora lei porta la piccola ma soffice coda davanti ai suoi dentini mentre la fiamma che arde piano nel camino illumina i suoi buoni occhi. Eccola, fa di nuovo così, ora però il leone sposta con la sua zampaccia la coda di lei: vuole vederla tutta, così com’è. Lei continua a muovere la coda che sfiora ogni tanto la zampa ferita del leone. Ed il fuoco li scalda.
Fuori, le tre lucciole amiche stanno volando verso la grotta del Bambino: per un po’ daranno il cambio, lassù in alto, alla bella cometa.
Dentro la capanna è ora la castorina che per la fatica chiude gli occhi a metà, allora il leone ferito, stanco, assonnato, si mette di traverso alla porta, di guardia, pronto a difendere la sua castorina, pronto a farsi uccidere per lei.
La castorina lo guarda con un solo occhio un po’ aperto e sorride: ha ridato il regno al suo re, può addormentarsi ora.
Nella notte di Natale, ogni cosa è di nuovo al suo posto.

Claudio Susmel