Politica (inter)nazionale e simboli sportivi

Quattro nazionali di calcio non aiutano a conservare un regno unito

D’accordo, la nazione è una cosa, la nazionale di calcio un’altra.
Ma è davvero sempre così? E con i simboli come la mettiamo?

Il referendum tenutosi in Scozia per decidere se smettere o meno di valicare il Vallo di Adriano senza cambiare bandiera di appartenenza statuale, ha dato il suo esito scontato: ha vinto il no. Ma per conseguirlo, da parte dei britannici un po’ di fatica c’è stata, visto che la regina Elisabeth, il premier Cameron, banche e imprenditori di successo hanno dovuto darsi da fare per dipingere un foschissimo quadro economico e politico conseguente alla eventuale vittoria degli indipendentisti.
Sembra che Elisabeth non sia più sufficiente a conservare il regno unito, perlomeno non nella vita quotidiana; in ogni caso un altro simbolo la aiuterebbe.
Se è vero che i britannici sono maestri nella pubblicità, sapranno che una squadra di calcio che si chiama “Nazionale” è un simbolo, un marchio, un’impresa (cavalleresca o meno), che aiuta ad assimilare e tenere vivo il concetto di unità della nazione, contribuendo oggi ad allontanare dalle menti dei politici inglesi l’ansia per il secessionismo scozzese. Ecco, forse è arrivato il momento di far coincidere l’attuale entità statuale del Regno Unito con quella di una sua unica nazionale di calcio. Ciò aiuterebbe ad impedire che si svolga il processo inverso e cioè che l’attuale numero delle nazionali di calcio, quattro, finisca per coincidere nelle isole dell’Arcipelago britannico con altrettante entità statuali: Galles, Inghilterra, Irlanda del Nord, Scozia (qui indicate in rigoroso ordine alfabetico).

E noi italiani?, auspichiamo l’unione calcistica britannica per la sopravvivenza di un Regno Unito che serva da contrappeso in un’Europa a timone germanico?
Forse.
Certamente per divertirci di più quando la vedremo giocare.

Claudio Susmel

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I danni inflitti dalla gratuità ad un immigrato particolare

Il gatto del parco

Il gatto del parco è giovane e grasso.
Sta fermo, sempre nello stesso punto.
Non si muove perché il cibo gli arriva a domicilio.
Gratis.
Glielo portano alcuni tra i tanti che passeggiano o corrono per il parco provinciale della Città.
Gli altri animali sono meno grassi; non avendo la certezza quotidiana dell’appuntamento annonario gratuito, zampettano in cerca di cibo e così si tengono in forma.

Che il gatto del parco resti immobile e si trovi spaesato perché immigrato clandestinamente da un altro parco?

Claudio Susmel

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Tornano all’Italia le sacche territoriali del Sabotino e del Colovrat

Il Trattato di Osimo
del 10 novembre 1975

Nel migliore dei casi la memoria italiana più diffusa circa le battaglie combattute per completare l’unità d’Italia, arriva a ricordare quella del 1954.
Non fu l’ultima.

Col Trattato (Accordo) di Osimo firmato il 10 novembre 1975 a Osimo e ratificato a Belgrado il 3 aprile 1977, il riacquisto politico amministrativo della “Zona A” ottenuto dall’Italia nell’ottobre 1954 evolve in annessione statuale, ma con contestuale perdita anche a titolo giuridico e non solo di fatto della “Zona B”; i confini politici italiani assumono i contorni attuali.
Un altro effetto del Trattato di Osimo è il ritorno in possesso dell’Italia di alcune sacche territoriali sul confine orientale della Venezia Giulia – ricordiamo quelle del Sabotino e del Colovrat – indebitamente occupate dagli jugo slavi in spregio a quanto stabilito dal Trattato di Pace del 1947.

Nel 2014 i figli d’Italia attendono che vengano riuniti alla Patria tutti gli altri territori geograficamente italiani ancora sotto occupazione transalpina.

Claudio Susmel

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