La liberazione di Guareschi e l’occupazione jugoslava di Fiume

Il 25 aprile si festeggia la Liberazione in Italia
ma non in tutta Italia
Libertas usque ad Flumen Sancti Viti

Il 25 aprile si festeggia la Liberazione in Italia, ma non in tutta Italia.
Non a Fiume, che il 3 maggio 1945 vide le truppe jugoslave e non l’Esercito Italiano subentrare alle truppe  tedesche.
C’è chi attende per partecipare alla festa della Liberazione dall’occupazione tedesca, il giorno in cui la città di suo padre verrà liberata dall’occupazione croata succeduta a quella jugoslava.
Però perché chiudersi tra le mura municipali di famiglia dimenticando la liberazione di un grande italiano, specie nel giorno del suo compleanno?

Il 1° maggio 1908 nasceva Giovannino Guareschi, inventore di Don Camillo e Peppone, per anni lo scrittore italiano più letto al mondo.
Preso prigioniero dai tedeschi dopo l’annuncio dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati dato l’8 settembre 1943, viene rinchiuso in un lager. Con raccontini, canzoni, una fisarmonica e coristi di peso molto leggero, legge nelle baracche dei lager di Beniaminovo, Czestochowa e Sandbostel il giornale “Bertoldo chiacchierato e sonorizzato. Edizione per gli italiani all’estero”.
Da quel giornale nascerà il libro “Diario Clandestino”, il canto libero di un umorista affamato. Un canto fiabesco per non arrendersi alla fame. Un canto tenero per il figlio cui scrive così del cartello numerato messogli addosso dai carcerieri: … fa il bravo a scuola, e impara a contare fino al numero 6865. Che poi sono io , tuo padre … . Un canto affettuoso per la moglie: La signora 3432 virgola 5 (io sono infatti il numero 6865 ed essa è la mia metà). Un canto d’amore per la Patria,  che descrive la dignità dell’ufficiale quando … davanti alla sua baracca, esegue flessioni, torsioni, piegamenti. Un canto dignitoso contro la meschinità del capitano francese che  dice: Ca  n’èst pas honnete! a un italiano perché non ha dato il pane pattuito per le  sigarette ricevute … ma non è neppure onesto che uno ben vestito, gonfio di roba ricevuta a bracciate dalla Croce Rossa Internazionale e dalla Francia di Petain, con cinque delle “Camel” che l’America manda a tutti i prigionieri che le interessano … privi della sua razione di pane uno straccione che nessuno ha mai assistito, che da diciotto mesi soffre una fame rabbiosa e che cerca una sigaretta per dimenticare qualche istante la sua fame, la sua miseria, i suoi dolori e la sua mortale nostalgia. Ca n’est pas honnete, monsieur!
La qualifica di Internato Militare Italiano, attribuita a chi aveva rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, non riconosceva il diritto all’assistenza della Croce Rossa Internazionale a Guareschi e a quel prigioniero di cui prese le difese, così come a tutti i prigionieri italiani della Germania, ma  … Non abbiamo vissuto come bruti: costruimmo noi, con niente, la Città Democratica … Io sono ancora il democratico di allora … e sul nostro lager non direi parola che non fosse approvata da quelli del Lager. Da quelli vivi e da quelli morti … Comunque il libro è qui … Se non va bene, vuol dire che la prossima prigionia farò meglio.
Giovannino Guareschi verrà liberato il 16 aprile del 1945.

C’è chi attende per partecipare alla festa della Liberazione dall’occupazione tedesca, il giorno in cui la città di suo padre verrà liberata dall’occupazione croata succeduta a quella jugoslava.
Però perché chiudersi tra le mura municipali di famiglia  dimenticando la liberazione di un grande italiano, specie nel giorno del suo compleanno?

"Servizio obbligatorio di leva civile in Italia" Claudio Susmel

Favola di Natale nella Russia di Putin con Tolstoj e Pirandello

Il monologo di Cecé per Zar Vladimir

La compagnia di prosa italiana era stata invitata a San Pietroburgo per recitare Pirandello.
Nel grande teatro tutto oro e bei colori, il protagonista Cecè dell’atto unico omonimo, in attesa di incontrare Nada, la sua donnina allegra di turno, stava recitando il monologo: Tutti mi chiamano Cecè, ma chi sono veramente io?  

All’improvviso però si è interrotto, e rivolgendosi allo Zar venuto ad ascoltarlo e ora seduto in prima fila, ha così proseguito:
“Ma a chi vuoi che gliene importi veramente qualcosa di questo mio personaggio pirandelliano di cento anni fa? A te forse, temutissimo Zar del 2014? Bah! Mi ascolti e mi guardi giusto per sorridere un po’ dell’inventiva e dei guizzi di un attore italiano. Invece importa molto a noi, attori della commedia che quotidianamente si replica su questo Pianeta, di capire che Zar sei veramente tu”.
Zar Vladimir non si è mosso e continuando a guardare da sotto in su come fa sempre, non solo quando è seduto in platea, ha rivolto su Cecè quel suo amabile sguardo capace di far tremare dal freddo un eschimese. Ma Cecè, abituato all’indifferenza di tanti spettatori apatici, ha proseguito, contento di aver catturato l’attenzione di uno spettatore importante come Zar Vladimir, pur essendo costretto a dominare un brivido di freddo lungo la sua allampanata spina dorsale.
“Tutti ti chiamano Vladimir, ma chi sei veramente tu?, un patriota russo o un imperialista sovietico?, che idea hai della Russia?, non mi rispondi?, allora ti dico che idea ne ho io: la Russia non è europea.”
Zar Vladimir, irrigiditosi ulteriormente, si volta di pochi gradi per un rapido sondaggio d’opinione e congela con lo sguardo le tre fila di spettatori allineati dietro di lui.
“La Russia non è asiatica.”
Zar Vladimir è indeciso se proseguire o meno l’opera di ibernazione fino alla sesta fila.
“La Russia è una sola, la Russia è una nazione euroasiatica.”
Zar Vladimir decongela due fila di spettatori.
“La Russia è un tetto che ha la sua sommità negli Urali, e due versanti, uno occidentale e uno orientale, sotto i quali i russi d’ogni parte del mondo debbono poter andare e trovarvi riparo”.
Zar Vladimir decongela anche la terza fila di spettatori dietro di sé e consente al suo capo di inchimarsi leggermente verso il basso, lasciando ai suoi sudditi il rischio di interpretarlo come un segno di approvazione.
“E quando qualche straniero vuole entrare sotto questo tetto con le armi, è giusto  che i russi guardando la loro bandiera combattano fino a che le onde degli invasori non si infrangano contro la prima barriera opposta dalle loro armi, poi contro la seconda, e infine raggiunta la terza si fermino e rifluiscano.”
Vladimir Zar annuisce, ricordando l’invasione di Hitler fermata a pochi chilometri da Mosca, e un vago tepore umano comincia a propalarsi da lui mentre qualche spettatore, rilevato prontamente il cambio di clima politico, si azzarda a sorridere a Cecè.
“Ma quando i soldati russi hanno respinto l’invasore fuori dai confini nazionali, che riprendano a guardare le loro donne e a pensare al loro caviale e alla loro vodka!
Ricordi Zar come il grande pittore Tolstoj ci descrive l’altrettanto grande Generale Kutuzov che sonnecchia mentre i suoi strateghi discutono?, sonnecchia perché non crede di poter determinare le minuzie della tattica, ma sa quale strategia adottare per vincere guerra e  pace. Sa che deve punzecchiare il nemico senza affrontarlo in campagna aperta – al nemico che fugge ponti d’oro – ma continuare fino a fargli riattraversare la frontiera della sua patria.
Segui l’esempio Zar. Ora che ti stanno invadendo non con le avanzate della cavalleria o dei panzer ma con le ritirate di dollari sterline ed euro, non reagire con lo scontro in campo aperto ma combattili anche tu con le ritirate, con le ritirate dei tuoi soldati entro le tue frontiere.”
Zar Vladimir ha uno sguardo corrucciato ma si vede che vuol sentire come va a finire il monologo, quindi rinuncia ad una sua ulteriore azione ibernatrice dell’opinione pubblica circostante seduta in poltrona e non aziona nuovamente i refrigeratori.
“L’Europa ha bisogno di sicurezza e tu Zar Vladimir gliela puoi dare, perché tu che vuoi la tua Russia unita e forte al di qua e al di là degli Urali hai ragione, perchè la Russia deve essere la cerniera settentrionale che unisce l’Europa all’Asia, lasciando alla Turchia la funzione di cerniera meridionale.
Anche noi attori di buona volontà di questo Pianeta vogliamo la Russia indipendente e sicura, perché vogliamo il pluralismo storico geografico delle nazioni, non vogliamo il pananglosassonismo dei discendenti di W.C. e di Truman così come non abbiamo voluto il pangermanesimo di Hitler. Alla globalizzazione artistica, scientifica et cetera continuino a pensarci i migliori uomini di ciascuna nazione del mondo, perché sia globalizzazione verso il meglio non verso la mediocrità.
Perciò non regalarci fucili e carri armati per Natale batiuscka Vladimir, ma caviale, vodka, sorrisi ed entusiasmi radiosi come quelli di Natascia Rostov. Non voler andare sempre avanti ché quel movimento lo sanno fare tutti e non indietreggiare ché in quel movimento sono specializzati i disertori, ma sta fermo e saldo a casa tua come fanno i veri patrioti.”

Due guardie, avvertite di quanto stava succedendo, irrompono a questo punto in teatro e si dirigono verso il palco, verso Cecè che a quella vista rimane basito – tutti i personaggi di Pirandello all’occorrenza rimangono basiti – ma un gesto imperioso dello Zar li ferma.
Lo Zar si rivolge poi a Cecè e gli chiede:
“Ti piace di più il caviale rosso o quello nero?”
Cecè smette di basire e sta per rispondere, poi pensa al significato storico di quei due colori e nuovamente basisce, non osando rispondere.
Zar Vladimir concede alla comune platea un lievissimo abbozzo di sorriso e riprende:
“Tranquillo italiano, lo so che non sei malvagio e che il tuo popolo vuole solo fare affari con noi. Vieni, discutiamone facendo una corsa in troika tra i magnifici palazzi che i tuoi connazionali hanno costruito a San Pietroburgo”.
E se lo mette a fianco. E continua a parlargli:
“ … però la Crimea … quei fratelli d’Ucraina … e devo stare attento dici? … hm … hai ragione … qual è il tuo nome fuori scena?, Silvio?, senti Silvio, domani andiamo a cena a Jasnaja Poljana, fai venire anche Nada e qualche sua amica, mangeremo caviale nazionale russo nero e rosso,  vedremo di aggiustare la cosa, però …“

Intanto dietro le quinte, il capocomico sorrideva soddisfatto, pensando a quei principianti della critica teatrale che ritenevano Pirandello fosse superato.

Claudio Susmel 

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Programma lacunoso ma non demagogico per il nuovo anno italiano

Ruralizzazione
Servizio di Leva Nazionale
Libia
Irredentismo

Le chiacchiere professionali di fine anno sui progetti per rimettere in piedi l’Italia assomigliano a quelle delle pasticcerie: molte, poco consistenti, e zuccherose.
Proviamo noi elettori a proporne quattro realmente strategici, senza demagogica velatura.

I non remunerati in alcun modo sono l’8%?
Nel 1945 eravamo 45 milioni, e oltre al territorio metropolitano avevamo a disposizione (indebita) altre centinaia di migliaia di chilometri quadrati di territorio africano. Ora invece siamo 60 milioni, inclusi i 4 o 5 milioni di immigrati, e per effetto del Trattato di Pace del 1947 ci sono stati sottratti più di 8000 chilometri quadrati di territorio metropolitano e la disponibilità (indebita) dei territori africani. E’ possibile immaginare che tutta la forza lavoro italiana che non trovava un posto di lavoro allora nelle città italiane, lo trovi oggi?
Progetto n. 1: il Governo pianifichi il ritorno diffuso alle campagne e alle montagne; i tecnici individuino con quale unità di misura abitativa e coltivabile atta a sostenere un nucleo familiare medio.

L’insofferenza diffusa degli italiani per gli immigrati è quotidianamente palpabile.
Se ne ha avuto, o se ne ha ancora bisogno, per certi lavori che gli italiani non volevano o non vogliono più fare?
Progetto n. 2: il Governo ripristini il servizio militare di leva, ma senza l’addestramento all’uso delle armi, e quindi per un periodo inferiore ai dodici mesi di un tempo, così che non si risolva il problema dei lavori sgraditi continuando a introdurre in Patria elementi estranei e comunque in deciso soprannumero rispetto alle potenzialità occupazionali nazionali.

La guerra civile in Libia costituisce un pericolo gravissimo per la nostra nazione.
La politica estera dell’Italia deve restare saldamente ancorata all’O.N.U. e alla N.A.T.O.?
Progetto n. 3: il Governo lavori con determinazione perché l’O.N.U. e la N.A.T.O. prevedano una missione internazionale di pace in Libia a coordinamento italiano. Altrimenti esplori tutte le alleanze, non ostili a quelle organizzazioni internazionali di cui facciamo parte, utili per agire in vicinanza dei nostri confini marittimi oltre che terrestri. I soldati italiani e le risorse economiche nazionali vengano impiegati prima per una missione internazionale di pace in Libia, poi alle estremità del Pianeta.

Un progetto irredentistico di recupero dei territori nazionali perduti risulta oggi di difficile comprensione per la maggior parte degli italiani.
In una nazione democratica non conta anche l’opinione delle minoranze?
Progetto n. 4: il Governo richieda alla Croazia, in revisione del Trattato di Pace del 1947, la restituzione dell’Arcipelago di Pelagosa, visto che neanche il più illogico dei rinunciatari può ritenere ragionevole ed equo che le terre e le  acque antistanti le coste della Puglia – con o senza petrolio e gas sottostanti del cui utilizzo si può discutere – siano sottoposte alla sovranità della lontanissima Zagabria.

Poco zucchero su questi quattro progetti?
E’ l’ultimo dei problemi per l’8% degli italiani che cominciano a lamentare, non del tutto sommessamente, l’assenza dei più vitali carboidrati necessari alla loro sopravvivenza fisica.
Quanto al restante 92%, ha cominciato da tempo a manifestare con l’assenteismo elettorale una marcata intolleranza glucidica per le chiacchiere di cui si è detto.

Claudio Susmel 

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