Ai genitori di Vincent Lambert

L’omino dal fiore in bocca
Nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet

S’ammalò senza speranza e divenne leggero leggero.

Lo vidi andare senza cravatta, e con un fiore in mano che ogni tanto portava alla bocca. Si muoveva sospeso nell’aria a qualche palmo da terra e sorrideva mite.
Continuava a lavorare, anche se faceva fatica a intendersi con chi camminava poggiando saldamente i piedi sulla terra, perché all’altezza in cui si muoveva il vento gli impediva di sentire bene le loro parole. Il suo sguardo vedeva lontano, offuscato soltanto da qualche smorfia di dolore particolarmente forte. Ogni tanto tremava, forse perché sapeva che presto avrebbe incontrato il Giudice, e pensava di non avere referenze del tutto a posto.

In una fredda mattina d’inverno lo vidi seduto su un muro a fianco del cancello d’ingresso di una grande e bella villa; la sera prima s’era sollevato troppo nell’aria e nei sogni, ed era finito lassù. Ora piangeva, pensando a come era solo. Pianse tanto che cominciò a piovere e tutto divenne buio.
Un poco di luce arrivò solo da una porticina non lontana, dalla quale stava uscendo un bambino alto appena appena, che sorrideva da sotto il cappuccio bagnato della sua mantellina rossa, fiero del suo primo grembiule di scuola.
A quel sorriso, sorrise anche l’omino dal fiore in bocca, e dimenticò per un secondo bello come il sole e lungo come l’eternità il suo male senza fine. Poi reclinò il capo, ma con uno sforzo sovrumano resistette a star seduto sul muro, finché non vide il bambino girare l’angolo. Subito dopo cadde, dipingendo di rosso il marciapiede di fronte alla grande e bella villa.
Il fiore che teneva in bocca appassì e la carne cominciò ad irrigidirsi.

Ma l’anima volò in alto.
Il sorriso del bambino cui aveva risparmiato la vista della propria morte l’aveva spinta  verso il cielo pieno di musica e di perdono.

Claudio Susmel

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