Dal 24 maggio 1915 alla Battaglia d’Arresto del 2020

La Vittoria dei soldati d’Italia
sulle Alpi
e sul fronte interno
Vitam pro
Patria dederunt

24 maggio 2020

Centodue anni fa la vittoria più grande conseguita dalla Forze Armate italiane a far data dal 17 marzo 1861: 4 novembre 1918.
Oblo’ la ricorda e la dedica ai medici e agli infermieri d’Italia morti durante la Battaglia d’Arresto combattuta contro Covid – 19 sul fronte interno italiano del 2020 perchè altri italiani vivessero, eredi di quegli oltre seicentomila soldati d’Italia morti perché i confini orientali d’Italia raggiungessero le Alpi.

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A proposito della Conferenza della pace così scrive Salvatorelli: Il contegno degli alleati e soprattutto di Wilson, sfavorevole alle aspirazioni italiane, destò fra noi largo risentimento … [per la] sensazione, in parte giustificata, che per l’Italia si facessero valere rigorosamente i principi ideali wilsoniani, sacrificati a favore di altre potenze … e Salvatorelli prosegue citando la distribuzione ineguale dei vantaggi coloniali salvo concludere che … il bilancio politico – territoriale della guerra si chiudeva per l’Italia in netto vantaggio … (50) per il sicuro confine naturale raggiunto a nord – est, per la diminuita potenza straniera a ridosso di quei confini e perché la mancata concessione di territori e influenza in Anatolia si rivelò meno importante per via della riscossa di Kemal Pascià che preservò quel territorio da qualsiasi influenza e occupazione straniere.
E che le acquisizioni di territorio extrametropolitano fossero meno importanti di quanto allora supposto, lo dimostrarono per esempio proprio la guerra che scoppiò tra la Turchia e la Grecia per il possesso di territorio anatolico, e indirettamente la necessità di concentrarsi sui problemi interni che ancora Salvatorelli bene sintetizza: … L’Italia, con la sua struttura politico – sociale ancora giovane e debole, risentì gravemente i postumi della guerra: grave disavanzo del bilancio, svalutazione della lira e conseguente balzo in alto dei prezzi; difficoltà di collocamento per i milioni di reduci dalla guerra … (51).

Leggiamo anche Bandini quando dopo aver scritto a proposito del Patto di Londra che: “… la Francia e l’Inghilterra dimostravano di largheggiare, soprattutto su cose e territori non loro” (52), osserva che le promesse degli Alleati non solo furono fatte su territori altrui – non venne proposta alcuna revisione confinaria, per esempio, che riguardasse i territori geograficamente italiani della Corsica sotto sovranità francese, o delle Isole maltesi sotto sovranità britannica – ma pure, a guerra vinta, seppur non rinnegandole, non difesero certo a spada tratta le offerte codificate nelle clausole contrattuali del Patto dai ripetuti pedanti ostili tentativi di applicazione del principio di confine etnico del presidente statunitense Wilson ai confini orientali d’Italia. Bandini sottolinea che … erano morti 533.000 uomini [da più parti si citano numeri molto superiori] … ed avevamo da pensare … a più di 949.000 feriti e mutilati di guerra … ; lamenta il debito dello Stato, la svalutazione della lira, i prestiti contratti; è lucido quando afferma che … Avevamo contratto quei debiti per comperare materie prime … eravamo stati aiutati perché ad altri faceva comodo … ; e afferma anche che la non preveduta scomparsa dei nostri nemici, lasciava l’Italia  sola, con tutte le sue debolezze geografiche, militari e politiche, di fronte ad Alleati che potevano tranquillamente ignorarci senza rischio e senza paura (53).

La promessa all’Italia di territori in mano altrui fatta dagli occidentali nel primo anteguerra si ripeterà nel secondo dopoguerra con la dichiarazione tripartita del 20 marzo del 1948, poco prima delle elezioni politiche italiane infatti, Francia Gran Bretagna e Stati Uniti si impegnarono per la restituzione dell’intero Territorio Libero di Trieste all’Italia; a questo proposito si legga Sara Lorenzini (54): “Nenni annotò al riguardo che essi regalavano ciò di cui non potevano disporre, ma si tenevano stretto quello che avevano veramente, cioè Briga, Tenda e le colonie.

Per lucidità talvolta profetica, per propensione personale all’accomodamento politico, o più semplicemente per la necessità di quiete e ordine che ha chiunque si trovi al Governo di una nazione, alcuni avrebbero capito in tempi diversi del primo dopo guerra che era arrivato comunque il momento di tagliare il superfluo dalle ambizioni nazionali.
Nitti curerà fino allo spasimo reverenziale i rapporti con gli Stati Uniti, talvolta valicando i confini della dignità epistolare che il rappresentante di una nazione deve conservare quando tratta con nazioni straniere, per ottenere da essi l’importante credito economico di cui l’Italia aveva necessità urgente, e cesserà ogni preparativo rivolto a una spedizione italiana in Georgia.
Giolitti, in diverse pagine del suo Memorie della mia vita (55), accenna all’esigenza di avere confini militarmente sicuri, non eccessivamente onerosi per la loro difesa, e che in una qualche misura tengano conto delle esigenze dei confinanti serbi – croati – sloveni, al fine di ottenere rapporti politici che salvaguardino la pace tra italiani e slavi del  sud. Farà cessare pressoché del tutto l’occupazione dell’Albania limitandosi alla sola occupazione dell’isolotto di Saseno. E’ il politico che aborre l’azzardo.
Mussolini darà seguito all’azione politica liberal democratica basata sul compromesso territoriale, realizzando l’annessione di Fiume all’Italia col rinunziare a parte del suo porto e ad altra parte del suo territorio storico (Corpus separatum).

Avara la transazione proposta dall’Austria – Ungheria all’Italia negli anni 1914 – 15, avara quella proposta all’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale, determinata dall’atteggiamento dell’Associato statunitense soprattutto ma anche da quello degli Alleati francesi e britannici. Associato e Alleati disputarono all’Italia ogni metro quadrato non solo della Dalmazia a preponderanza etnica serbo – croata, ma anche dell’Istria etnicamente divisa più o meno in due tra latini (italiani) e slavi (croati e sloveni) dunque a netta maggioranza latino italiana, e di Fiume abitata per due terzi da italiani e per un terzo da slavi. Transazione avara sì, ma della quale vanno individuati i termini che finirono per essere codificati: non la quasi totalità della Dalmazia prevista dal Patto di Londra in cambio di Fiume, ma in cambio di Fiume, Resia, Dobbiaco, Tarvisio (e altre minime superfici territoriali ancora), territori tutti non contemplati nel Patto di Londra.

L’annessione di buona parte della Dalmazia era saltata quasi del tutto per l’avversione più o meno accentuata e manifesta degli Alleati (Francia e Regno Unito) verso un’Italia militarmente sicura ed economicamente proiettata a oriente. Era saltata per l’avversione dell’Associato (Stati Uniti d’America) non firmatario del Patto di Londra, il cui splendido isolamento dalle vicende europee, se pure mai esistito, aveva cessato anche palesemente di sussistere. Era saltata anche perché i quattro vincitori della Prima Guerra Mondiale si erano accordati per una transazione tra le clausole contenute nel Patto e la richiesta dell’Italia di annettere Fiume, città situata a occidente delle Alpi Giulie, a forte maggioranza etnica italiana, e con una popolazione che si attivò in più modi per ottenere di non far parte del Regno dei S. H. S., leggi Croazia, nazione con la quale per secoli non aveva mai voluto aver nulla a che fare.
Il debito economico contratto dall’Italia con gli Alleati e l’Associato durante la guerra era stato determinante, tanto da presumibilmente moderare alquanto, alla fine della guerra, le richieste di attuazione delle clausole confinarie previste a suo favore dal Patto di Londra in caso di conclusione vittoriosa del conflitto.

A queste considerazioni si aggiungano le insoddisfazioni di altre nazioni, tra le quali di assoluto rilievo le doglianze di Clemenceau (56) per la Francia, soprattutto per la mancata tutela della sicurezza nei confronti della Germania, e per l’esosità degli statunitensi con riferimento alla loro richiesta di rimborso dei prestiti concessi. Quest’ultimo accenno per rilevare che non ci fu solo la “Vittoria Mutilata”, ma anche una sorta di Victoire blessé; Clemenceau non aveva evidentemente previsto che entrambe le due nazioni neolatine avrebbero potuto sì conseguire i frutti delle loro vittorie, ma che statunitensi e britannici avrebbero lottato per contenerli entro un perimetro territoriale economico e politico ben limitato dagli interessi del transoceanico impero anglofono.

Quella italiana fu una vittoria inadeguatamente remunerata rispetto agli obiettivi prefissati, il cui pieno raggiungimento si sarebbe però rivelato non del tutto desiderabile.
Una vittoria che da molti venne definita mutilata perché non rispettò le precise acquisizioni territoriali in Dalmazia pattuite il 26 aprile del 1915 col Patto di Londra sottoscritto dagli Alleati franco britannico russi, e perché alla spartizione delle Colonie tedesche tra gli Alleati non corrisposero adeguate compensazioni per l’Italia da parte degli smisurati imperi britannico e francese, compensazioni anche queste previste dal patto di Londra ma con formula generica.

Eppure, se fu una vittoria diminuita per i motivi su scritti, risulta ugualmente una grande vittoria quella codificata col Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, con benefici che si dilatano in quattro cerchi concentrici.
Grande vittoria, per i confini naturali raggiunti in Alto Adige, corretti dall’applicazione del principio del confine militare al Passo di Resia in quanto anche il suo versante settentrionale venne compreso all’interno dei confini politici italiani, corretti dall’applicazione del principio del confine militare anche a Dobbiaco e Tarvisio situati al di là dello spartiacque alpino ma anch’essi compresi entro i confini politici italiani. Per la linea di confine naturale indicata nel Patto di Londra per la Venezia Giulia, adottata con criterio espansivo per l’Italia con riguardo al Monte Nevoso, avendone incluso nel territorio nazionale italiano anche il versante orientale, più che presumibilmente seguendo anche in questo caso il principio del confine militare. Per l’annessione di Zara e delle Isole Lagostane. Per l’annessione dell’Arcipelago di Pelagosa prospiciente le coste pugliesi contro l’assurdo allora della sovranità austriaca di una lontanissima Vienna; annessione all’Italia che persistendo ci avrebbe evitato oggi un  gravissimo danno economico, causato dalla attuale sovranità croata di una Zagabria altrettanto lontana, perché si esercita oltre che su terra e acque anche sul petrolio dell’Adriatico meridionale. In sintesi furono guadagnati all’Italia oltre 13. 000 chilometri quadrati del Trentino Alto Adige, oltre 8.000 chilometri quadrati della Venezia Giulia, Zara e le Isole Lagostane in Dalmazia, e l’Arcipelago di Pelagosa fronteggiante le coste pugliesi (57).
Grande vittoria, per l’inversione della tendenza alla diminuzione dell’influenza linguistica e culturale italiana in Dalmazia, determinata oltre che dalla contiguità fisica dell’Italia con lo Stato di Fiume, anche dall’annessione di Zara e delle Isole Lagostane; a questo proposito si legga come il 28 luglio del 1921 il generale Caviglia, commentando in senato il Trattato di Rapallo – negativamente dal suo punto di vista – parla dell’avanzata degli slavi: “Tutta la storia moderna segnala un forte movimento di espansione della razza slava in tutte le direzioni … Verso occidente i suoi elementi … penetrano nei confini delle varie nazionalità vicine e vi sostituiscono le popolazioni. Essi non portano civiltà, ma assorbono la civiltà dei popoli che vanno a sostituire, cambiano nome ai paesi … l’Italia dovrà constatare la scomparsa dei nomi italiani dalla riva orientale dell’Adriatico e la sostituzione con nomi slavi: Le nostre genti saranno a poco a poco scacciate dalla riva orientale dell’Adriatico …”(58).
Grande vittoria, per le economicamente non appariscenti acquisizioni di territori coloniali franco britanniche a ridosso delle colonie italiane, in Cirenaica dall’Egitto (divenuto indipendente dall’Impero britannico ma erede degli impegni assunti da questo  precedentemente), in Tripolitania e nel Fezzan dall’Africa sud occidentale francese, in Eritrea dalla Somalia francese, in Somalia dal Kenia britannico, acquisizioni che però confermarono la sovranità italiana sulle colonie, paradossalmente anche perché essendo realizzate in un lungo lasso di tempo – ricordiamo il trattato italo francese del 7 gennaio 1935 per i confini della Libia – contribuirono ad assicurare all’Italia una importante duratura tranquillità nelle sue relazioni internazionali con la Francia e con l’Impero britannico; per valutare bene questo vantaggio si rifletta sul recente attacco franco  britannico alla Libia, che oltre che andare palesemente contro gli interessi nazionali italiani ha denunciato lo scarso peso internazionale dell’Italia e la scarsa considerazione per la sua capacità di reazione. Né si dimentichi, oltre quanto premesso circa le colonie, il riconoscimento internazionale della sovranità italiana sulle Isole dell’Egeo.
Grande vittoria, perché al 23 maggio 1915 l’Italia era confinante con l’Impero austro – ungarico, e coabitante in Europa con la poderosa presenza dell’Impero tedesco, di quello russo e di quello ottomano. Alla fine della guerra, grazie alla sconfitta di tre di queste quattro poderose macchine diplomatico militari – di quella russa grazie agli austro tedeschi – , si ritrovò in Europa e nel Mediterraneo con dei confini molto più sicuri e tre aree continentali più aperte alla sua penetrazione economica e alla sua influenza politica.
Questi furono gli obiettivi raggiunti con la Vittoria che in tanti non capirono quanto fossero grandi.

Nel 2020 si scrive di quella battaglia e delle altre che la seguirono perché in quegli anni che vanno dal 1914 al 1920 litigammo fra di noi, commettemmo certamente degli errori, alcuni gravi, altri disastrosi, ma furono anni illuminati dall’energia di tutto il popolo italiano, dal Fante – usare sempre la F maiuscola per cortesia – al Re (che come qualsiasi altro uomo non si misura a palmi). Nel complesso fummo seri, determinati, efficienti, e vittoriosi.
Fu una vittoria mutilata ma allo stesso tempo grandissima per l’Italia, una vittoria che, a centodue anni di distanza, attende ancora un settennato di Governi che sappia fare di meglio per conseguire l’obiettivo del completamento dell’unità di un’Italia compresa tra i suoi confini naturali delle Alpi e dei mari; lo stesso obbiettivo che si prefissero i combattimenti militari, diplomatici e civili del 1848, 1859 – 60, 1866, 1870.
Obbiettivo così bene descritto dalle parole di Giuseppe Garibaldi, scritte nel 1876 ai suoi Mille, delle quali si scrive l’ultima riga proponendola quale incipit del manifesto politico di qualsiasi partito politico che voglia definirsi concretamente italiano: Per l’Italia sarà sempre principio del bene quello di volerla unificare.
E di volerla difendere da autonomismi impropri, più o meno larvatamente propedeutici di secessioni auspicate da miopi propugnatori del particulare regionalistico, dimentichi delle impiccagioni, delle vessazioni economiche, degli stupri, dei saccheggi, delle razzie subite dal nostro patrimonio artistico, come accadde prima e dopo Campoformio, per citare solo uno dei tanti nomi atti ad evocare le immani rovine provocate all’Italia dalle sue divisioni.

Ai medici e agli infermieri d’Italia morti durante la Battaglia d’Arresto combattuta contro Covid – 19 sul fronte interno italiano del 2020.

(50) – Luigi Salvatorelli, Venticinque anni di storia.
(51) – Luigi Salvatorelli, op. cit. .
(52) – Franco Bandini, Il Piave mormorava.
(53) – Franco Bandini, op. cit..
(54) – Sara Lorenzini, Il trattato di pace del 1947.
(55) – Giovanni Giolitti,  Memorie della mia vita.
(56) – Giorgio Clemenceau,  Grandezze e miserie di una vittoria.
(57) – Claudio Susmel, L’italianità geografica dell’Arcipelago di Pelagosa.
(58) – Ferdinando Gerra, L’impresa di Fiume.

Servizio obbligatorio di leva civile in Italia   Claudio Susmel

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