Conteso da secoli è più vicino alla Puglia che alla Dalmazia

L’italianità geografica dell’Arcipelago di Pelagosa

Questo articolo lo dobbiamo a Efisio.
Magro, capelli lunghi e “mosca” sul mento, settantenne attivo con eloquio moderatamente didattico, sfoglia i libri con devozione, come se fossero breviari; assomiglia ad Aramìs, il moschettiere religioso e colto.
È lui il bibliofilo che indifferente al colorito chiacchiericcio del mercatino di Viale Trento a Cagliari, consegna a chi scrive il libro di Ferruccio E. Boffi, Saggi storici e parlamentari, Remo Sandron Editore, 1924, all’interno del quale l’ottavo capitolo è dedicato al saggio “L’arcipelago di Pelagosa: vicende politiche e parlamentari”.

Dal punto di vista geografico il saggio ha il pregio sin dal titolo di chiarire che non si tratta solo di un’isola ma di un arcipelago, che comprende Pelagosa Grande, Pelagosa Piccola, gli scogli Sasso d’Ostro, Pampono, Monti e Sasso di Tramontana.
Boffi scrive che: “… dista dalla costa italiana una trentina di miglia e più del doppio dalla costa austriaca …”(pag.199). A chiunque vorrà verificare questi dati da casa con discreta approssimazione, munendosi di una squadretta e di una carta geografica con scala chilometrica, risulterà evidente che Pelagosa è più vicina al promontorio del Gargano nella Puglia che alla penisola di Sabbioncello in Dalmazia.
Giotto Dainelli, nella suo La Dalmazia (Novara 1918, Istituto geografico De Agostini) non la nomina espressamente tra le isole della Dalmazia, neppure quando nel testo dell’opera citata scrive del Capitanato di Lesina, e di quello di Curzola (che comprendeva Lagosta); e se nell’atlante, di cui pure si compone l’opera citata, la raffigura in tutte le sue carte più grandi (insieme allo Scoglio Caiola), lo fa raffigurandovi anche l’isola pugliese di Pianosa.
Angelo Ginocchietti scrive dell’Adriatico che: “Le isole di Lagosta e Pelagosa ed il promontorio del Gargano lo dividono in due bacini: settentrionale e meridionale”, e che “la soglia sottomarina di Pelagosa […] congiunge il Gargano alla Dalmazia”. In seguito afferma che “L’isola di Lagosta e alcuni isolotti ad essa adiacenti, costituiscono l’unico territorio insulare dalmato rimasto in nostro possesso”, escludendo così la dalmaticità geografica di Pelagosa[1].
Chi scrive rileva la maggiore vicinanza dell’Arcipelago di Pelagosa alla costa italiana adriatica occidentale; per cui anche ipotizzando i confini naturali orientali d’Italia terminanti con la linea Monte Nevoso – Monte Risniak – Depressione delle Conche – Scoglio San Marco in Quarnaro, o terminanti con la linea Monte Nevoso – Monte Risniak – Bittorai – Alpi Bebie (Velebiti) – Alpi Dinariche fino al fiume Narenta e di questo seguendone il corso fino alla sua foce nel Canale di Narenta tra l’Isola di Lesina e la penisola di Sabbioncello, l’Arcipelago di Pelagosa sarebbe compreso nei confini naturali italiani. Così come lo sarebbe se si ipotizzassero i confini naturali orientali d’Italia proseguenti per le Alpi Dinariche oltre il fiume Narenta, fino al fiume Boiana e di questo seguendone il  corso fino alla sua foce a sud est di Dulcigno; ipotesi quest’ultima per la quale la maggiore vicinanza dell’Arcipelago di Pelagosa alla costa pugliese o alla costa dalmata risulterebbe irrilevante per la sua attribuzione geografica all’Italia. L’Arcipelago di Pelagosa risulta territorio naturale italiano in ognuna delle tre ipotesi di confini naturali esaminate.

A proposito invece delle vicende storiche, Boffi asserisce, senza per altro molti dettagli a supporto, che l’Arcipelago seguì per lungo tempo le sorti delle isole Tremiti, e che fu attribuito all’Austria ed al regno delle Due Sicilie.
L’esposizione si fa più precisa quando l’Autore, citando il giornale Roma, riporta un episodio del 1862, secondo il quale un brigantino italiano costretto da una tempesta a riparare a Pelagosa Grande, vi trovò un brigantino austriaco che aveva sbarcato degli uomini: “Il capitano italiano de Toth […] già meravigliato dell’incontro, rimase più meravigliato ancora quando si vide accolto dal collega austriaco come straniero su terra di Francesco Giuseppe. Dichiarò che lo straniero non era lui, che l’isola era terra italiana […] l’austriaco sostenne la legittimità del possesso …”(pag.201). Il capitano italiano piantò il Tricolore e salpò. L’incidente fu riferito ai ministri italiani degli Esteri della Marina e della Guerra. L’Austria sostituì la bandiera italiana con la propria. Tutto tacque.
Boffi scrive ancora che dopo la pace di Vienna – sembrerebbe riferirsi al Trattato del 3 ottobre 1866 col quale L’Austria cedeva il Veneto a Napoleone III che lo avrebbe a sua volta ceduto all’Italia –  l’Austria “non procedette ad alcun atto vistoso di sovranità: si limitò a mandare a Pelagosa, di tanto in tanto, una piccola nave da guerra e […] vi stabilì un servizio di informazione compiuto da un vecchio pescatore dalmata”(pag.202).
Intorno al 1870 “sbarcarono nell’isola due ingegneri del Genio civile di Bari che, con l’aria più candida e più dolce di questo mondo, asserirono di dover procedere agli studi per l’impianto a Pelagosa grande di un faro vivamente desiderato dalle Camere di commercio di Venezia e di Trieste. Il vecchio pescatore [ quello del servizio di informazione austriaco ] protestò contro gli invasori e, viste inutili le proteste, si buttò in una barca e veleggiò verso la Dalmazia”(pag.202).
L’Autore, dopo aver affermato che gli ingegneri vennero richiamati e che furono fermati gli studi, continua riportando da Irma Melany Scodnik, le parole del Governo italiano secondo le quali non era ben “sicuro che quelle isole [gli] appartenessero […] essere suo scopo non un possesso territoriale ma l’adempimento di un desiderio e di un bisogno urgente della navigazione; nulla aver da opporre alle pretese del dominio austriaco se quel governo [avesse provveduto] a sue spese alla costruzione del faro …”[2]  L’Austria, stando sempre a quanto riportato dal saggista, si mosse con diplomazia: diede l’appalto a un Natalini di


1  Angelo Ginocchietti, L’Adriatico, Roma 1931,Istituto Poligrafico dello stato, pag. 43
2  Irma Melany Scodnik, Geografia e diplomazia, Napoli 1910, Cozzolino, pag. 21

Lissa, chiamò muratori da Viesti e scalpellini da Trani, arrivando a costruire così uno splendido faro alla cui guardia mise veterani della propria marina; né dimenticò di compensare con cento fiorini al mese il pescatore dalmata che aveva denunciato lo sbarco italiano.
Boffi riferisce inoltre di una cappella eretta a Pelagosa grande, all’interno della quale fu posta una lapide con l’iscrizione Francisco Iosepho Imperante … Die XXIX Mar. MDCCCLXXIX … (pag.203). Avremmo dunque testimonianza di una presa di posizione esposta pubblicamente dall’Austro – Ungheria circa la sovranità politica piena su Pelagosa, anche se non formalmente eclatante.
Nel marzo del 1891, stanti le voci di allestimenti militari austriaci nell’Isola, l’on. Matteo Renato Imbriani presenta una interrogazione parlamentare rivolta al Ministero dell’Interno, “circa le condizioni dell’isola di Pelagosa”(pag.203), che viene letta durante la seduta del 14, e rimandata al 17 perché l’interrogato, on. Nicotera, disse di dover ricercare “informazioni molto esatte”(pag.203). Durante le sedute del 26 e 27 giugno Imbriani insistette per la discussione perché era affare “di grave importanza, poiché il gruppo della Pelagosa che apparteneva al regno di Napoli e che [era] stato occupato dagli austriaci, è sentinella nostra sul mare Adriatico …”(pagg.203/204), e ancora nel dicembre 1891 Imbriani si rivolge con una interpellanza “al Presidente del Consiglio, ministro degli esteri, on. Di Rudinì, circa l’occupazione di una parte del territorio dello Stato, imputabile al Governo austro – ungarico”(pag.204). Il 16 dicembre l’on. Di Rudinì non accettò l’interpellanza ritenendola solo un’occasione per fare accademia. L’interpellanza fu ripresentata da Imbriani il 17 e poi ritirata. E ancora Boffi, riportando quanto scritto dal giornale La Tribuna del 18 dicembre 1891: “L’on. Imbriani [ha sostenuto] una tesi santa in principio e in fatto […] La Pelagosa è un’isola, è uno scoglio, è un palmo di pietra – rimpicciolite quanto meglio vi aggrada – che sta in mare italiano, a breve distanza dal Gargano e, appartenente al regno di Napoli sotto i Borboni, fu, in seguito, senza protesta dell’Italia, occupata dall’Austria. Noi siamo amici dell’Austria […] e va bene; siamo alleati, e va benissimo; ma non deve essere indipendente da ogni questione di amicizia od ostilità, il diritto di proprietà?”(pag.205). Imbriani insiste ancora durante la seduta del 26 gennaio 1892 con un’interpellanza, chiedendo al di Rudinì, Presidente del Consiglio e Ministro degli esteri, come si sarebbe comportato “circa un territorio dello Stato occupato dal Governo austro – ungarico, specialmente dopo che la questione [era] stata posta nel Parlamento austriaco”(pag.205). Nessun esito.
L’Autore riporta poi il Discorso commemorativo di Oberdan, tenuto a Pistoia il 31 dicembre del 1891 da Felice Cavallotti (in Opere, Milano, Aliprandi, s.a.), che loda Imbriani per la sua difesa dell’italianità di Pelagosa, deplorando l’indifferentismo parlamentare per questioni gravissime quali l’integrità della patria: “… quando penso ai recenti ed indecenti clamori perché una voce libera e fiera affermò il diritto nazionale sopra scogli nostri nel mare; sopra scogli nostri la cui cessione – nulla, in faccia alle ragioni del nostro diritto pubblico interno, colpevole, in faccia alle ragioni militari – la cui cessione, io dico, vuoi per le norme del diritto marittimo o del diritto delle genti e per i limiti del mar territoriale, trae con sé l’abbandono al dominio altrui di una vasta distesa di acque nostre italiane […] mi domando con isgomento se sia questa l’Italia per cui le fronti dei veggenti vegliarono, per cui tanti patiboli si eressero, per cui tante spade radiose brillarono al sole, per cui tanti campi furono insanguinati”(pagg.208/209). «Cessione» è un termine usato da Cavallotti presumibilmente senza significato giuridico preciso, visto che non viene citato alcun documento diplomatico a supporto per giustificarne l’uso né alcuna data specifica.

L’Autore conclude il saggio riportando alcune note, in una delle quali cita il deputato Magliano: “Negli antichi portolani e nelle carte geografiche del secolo XIX le pelagose figurano possesso delle Due Sicilie […] Prima di Lissa, il governo italiano stabilì un fanale nella maggiore Pelagosa; dopo il ’75, non si curò più delle Pelagose […] Nel ’75 gli austriaci occuparono le Pelagose e ci costruirono un semaforo …(pag.209)”.
E ancora in un’altra nota, cita Michele Petrone, Deputato provinciale di Viesti garganico: “Il dizionario geografico di G.B. Carta (edito a Napoli, dalla Stamperia del Fibreno, nel 1843), di fede molto ortodossa essendo dedicato a S. Ecc. il Maresciallo di campo Marchese del Carretto a pag. 637 riporta: Pelagosa (Adriae scopulus). Is. Dell’Imp. D’Austria nella Dalmazia all’O. di Ragusi, vari scogli che spuntano nel mare; ne’ suoi dintorni sono i residui di un vulcano antico”.  Nella stessa nota si legge ancora: “… Dopo il ’60 una Commissione della nostra Marina … si recò alla Pelagosa per incontrarsi con una Commissione della Marina austriaca. Sembra […] si sia trattato di Commissioni con intenti idrografici …”(pag.210).
E in un’altra nota ancora: “Le testimonianze degli antichi pescatori concordano nel descrivere la Pelagosa, prima che sorgesse il faro austriaco, come stazione di pesca per le sardine […] La pesca era praticata da barche di Comisa, a preferenza, da parecchi di Tremiti, da qualcuna soltanto – e non tutti gli anni – di Viesti”(pag.210).

Il saggio del Boffi non chiarisce con esattezza l’anno in cui Vienna – comunque piuttosto lontana da Pelagosa – sarebbe subentrata al diritto statuale preesistente sull’Arcipelago di Pelagosa, sempre che questo diritto fosse a sua volta codificato da un documento ufficiale conosciuto da più di una capitale europea. Ciò che sembra chiaro è che l’Italia nella sua consistenza politica successiva al 1861 si «accorge» dell’Arcipelago di Pelagosa, ma impastoiata poi dal Trattato della Triplice Alleanza (comprendente l’Austria – Ungheria) non si agita troppo.
Chi scrive oggi, ha a disposizione un documento che indirettamente non individua l’inizio dell’esistenza dell’autorità statuale dell’Austro – Ungheria su Pelagosa ma la sua eventuale fine: il Trattato di Londra dell’aprile 1915, che prevedeva in caso di vittoria dell’Intesa la cessione all’Italia anche di Pelagosa. Cessione codificata con la firma del Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920: “Per le isole del Quarnaro e della Dalmazia l’art. III […] stabiliva […] facenti parte del regno d’Italia […] le isole di Lagosta e Pelagosa con gli isolotti adiacenti …”[1].
Compresa nella Provincia di Zara prima e poi in quella di Spalato, Pelagosa verrà ceduta dall’Italia alla Jugoslavia col Trattato di Pace del 1947, articolo 11, punto 2: “L’Italia cede alla Jugoslavia, in piena sovranità, l’Isola di Pelagosa e le isolette adiacenti”. Il suo possesso da parte della Croazia, secessionista dalla Jugoslavia nei primi anni ’90, non verrà contestato dall’Italia.

Non v’è dubbio vada riconosciuto al saggio di  Boffi il merito di ricordarci che a pochi chilometri di distanza dalle coste adriatiche occidentali d’Italia, uno Stato straniero governava quell’arcipelago geograficamente italiano di Pelagosa che più vicino alla Puglia che alla Dalmazia, ha di questa seguito molte vicende storico politiche.
Il saggista ha così difeso la nostra sopravvivenza come nazione, che muore moralmente quando occupa terra altrui, e fisicamente quando perde terra propria.


3 Umberto Ademollo, Stati d’Europa e dell’Estremo Oriente, Consociazione Turistica Italiana, 1938, pp. 20-22.

Claudio Susmel

Pubblicato sulla rivista di studi adriatici “FIUME”, Roma, primo semestre 2014, pp. 81-86.

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