26 aprile 1915, l’Accordo di Londra

Confini naturali e progetti imperialistici (1)
Munda immundaque aqua  

L’Italia persegue due obiettivi fondamentali col Memorandum presentato a Francia, Gran Bretagna e Russia, e da queste accettato con l’Accordo di Londra del 26 aprile 1915.
Persegue l’obiettivo del raggiungimento dei suoi confini naturali a nord, a nord est, e parzialmente a sud est.
Persegue l’obiettivo dell’espansione imperialistica in Albania, nel Dodecanneso, nella Penisola Anatolica (Turchia), e in Africa.
Cerca di avvitare i due obiettivi con una cerniera, mediante la fissazione di un confine militare in Dalmazia.

Vengono perseguiti i confini naturali a nord, con l’articolo 4 del Memorandum, che assegna all’Italia il Trentino Alto Adige entro lo spartiacque delle Alpi Retiche (la cosiddetta frontiera del Brennero), delle Noriche Occidentali, delle Pusteresi e delle Dolomitiche, escludendo di conseguenza la Valle di Dobbiaco. Vengono perseguiti i confini naturali a nord est, con la prima parte dell’articolo 4, che assegna all’Italia lo spartiacque delle Alpi Giulie, escludendo di conseguenza la valle di Tarvisio.
Viene invece perseguito un confine politico a sud est, con l’ultima parte dell’articolo quattro, visto che assegna all’Italia le isole di Cherso e Lussino con le altre quarnerine minori intorno, ma esclude Fiume e parte del suo territorio (Liburnia) in quanto non raggiunge la Depressione delle Conche, che costituisce una prima linea di confine naturale possibile tra l’Italia e la nazione straniera confinante.

Viene perseguito parzialmente il confine naturale a sud est con l’articolo 5 del Memorandum, che assegna all’Italia una parte della Dalmazia includente le città di Zara e Sebenico, una serie di isole fronteggianti la costa dalmata (Lagostane incluse), oltre all’Arcipelago di Pelagosa fronteggiante la costa pugliese. Articolo 5 che, usando un guazzabuglio inestricabile di termini geografici e amministrativi, è volto ad ottenere la sicurezza militare in Adriatico, quella cerniera prevista dai diplomatici italiani nel Memorandum, che di fatto avrebbe legato in Dalmazia i confini naturali d’Italia con la sua espansione imperialistica a oriente. Cerniera da ottenersi  mediante la sovranità su una parte di Dalmazia costiera e insulare, e con la neutralizzazione di un’altra parte. Per non nutrire dubbi sull’intento generale dell’articolo, si rilegga là dove sostiene che dovranno essere neutrali “…  tutte le isole non assegnate all’Italia.”
I diplomatici italiani sembrano essere consapevoli che le loro richieste presenti nel Memorandum, per quanto sottoscritte dagli Alleati, non essendo “saldate” in anticipo, sarebbero state sottoposte al vaglio delle trattative di un dopoguerra che se anche fosse risultato vincitore per l’Italia sarebbe comunque apparso incerto, e cercano quindi di assicurarsi un obiettivo da loro ritenuto preziosissimo: annullare l’incubo delle basi navali straniere in Adriatico.

Viene perseguita l’espansione imperialistica con gli articoli 6 e 7 del Memorandum, che, in particolare, assegnano all’Italia la sovranità sull’isolotto di Saseno e la città di Valona, oltre alla rappresentanza dell’Albania nelle sedi internazionali.
Viene perseguita l’espansione imperialistica con gli articoli 8 e 9 del Memorandum, che assegnano all’Italia la sovranità sul Dodecanneso in luogo del mero possesso ottenuto durante la guerra italo turca del 1911 – 1912, e l’occupazione di una vasta zona meridionale della penisola anatolica (Turchia).
Viene perseguita l’espansione imperialistica con l’articolo 13 del Memorandum, che riconosce un equo compenso all’Italia “soprattutto per quanto riguarda la soluzione a suo favore delle questioni relative alle frontiere delle colonie italiane in Eritrea, Somalia e Libia, e le colonie vicine che appartengono alla Francia e alla Gran Bretagna” (2).

Fino a poco tempo fa c’era chi si chiedeva perché parlare ancora oggi di confini, naturali o imperiali. In tanti li definivano argomenti superati. Oggi il compito di costoro è più arduo, perché se leggiamo la cronaca vi troviamo gli stessi conflitti della storia di ieri e dell’altro ieri, così che anche chi sarebbe ben felice di raggiungere i confini naturali d’Italia e di difenderli con pacifiche azioni diplomatiche di pace sperando che la pace duri in eterno, non si dimentica forse della battuta che il Primo Ministro del Regno Unito, David Lloyd George, pronunciò alla fine della Prima Guerra Mondiale: “Questa guerra, al pari della prossima, sarà certamente l’ultima”.
Il principio dei confini naturali, se applicato per tentare di modificare gli attuali confini politici italiani, garantisce un minimo di superficie territoriale per gli italiani, che secondo i dati demografici del Calendario Atlante De Agostini del 2016 risultano essere 201 per chilometro quadrato, contro i 118 della Francia, i 102 della Slovenia, i 101 dell’Austria, i 75 della Croazia, i 75 della Bosnia ed Erzegovina, e i 45 del Montenegro. La lotta per la difesa dei confini naturali italiani è una lotta per la terra, per l’acqua come ben sanno gli italiani del Piemonte che si son visti portare via col Trattato di Pace del 1947 il Moncenisio e le sorgenti del Roja. La lotta per i confini naturali italiani è una guerra per la sopravvivenza del popolo italiano.
E’ stato quindi ed è legittimo lottare per il raggiungimento dei confini naturali d’Italia.

Così come è utile riflettere su quante guerre avrebbe evitato l’Italia in passato, se si fosse posta come unico obiettivo territoriale il raggiungimento dei suoi confini naturali.

(1) – Estratto dal saggio presente nel volume a cura di Aldo A. Mola, 1915: maggio radioso o colpo di stato? pagg. 84/104, Centro Europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello stato, Centro Stampa della Provincia di Cuneo, 2016.
(2) – Memorandum di Londra, articolo 13.

La Turchia in Europa è la fine dell’Europa    Claudio Susmel 

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