Il nuovo libro di Aldo Alessandro Mola

Giolitti
il senso dello Stato
Impigra mola

28 giugno 2019

“Se Giolitti torna al potere siamo fottuti. Ricordati che a Fiume ha fatto cannoneggiare D’Annunzio. Bisogna bruciare le tappe. ”
Queste le parole rivolte da Mussolini ad un suo collaboratore nell’ottobre 1922, quando uno stuolo di politici – e non solo – discussero, esitarono, valutarono codici e pandette, la storia e la cronaca, dimenticando quel senso dello Stato, di cui al titolo dell’ultimo libro di Aldo Mola (1), che avrebbe dovuto comandare l’uso delle armi per fermare l’azione sovversiva di una parte, un movimento politico, contro il tutto, la nazione; quel senso dello Stato che proprio Mussolini evocò, citando lo statista Giolitti e una sua decisione che ricordò a tutti, eroi compresi, che è lo Stato l’unica istituzione titolata all’uso della forza contro gli stranieri e contro i propri cittadini.
E qui termina la recensione seria.

***

Ordinato poco meno di un mese fa, si è degnato di sbarcare a Cagliari il libro del direttore scientifico dell’Associazione di Studi Storici Giovanni Giolitti, di cui faccio parte: signor Rusconi si ricordi che l’Italia comprende anche le isole, veda di accelerare i tempi di distribuzione.
Oltre 6oo pagine – l’ìmpigro Mola se non supera le 500 pagine con i suoi manufatti credo li reputi riviste –, una biografia sterminata, non solo a confronto delle mie letture: di Memorie della mia vita dettate da Giolitti e dei libri scritti su di lui da Ansaldo e da Carocci; recensire seriamente?, impossibile; giusto qualche flash.

Come se non bastasse il metus reverentialis suscitato dalla sterminata biografia e dall’altrettanto sterminata serie di notizie e fatti riportati dallo storico Mola, è poi successo qualcosa d’altro: la nave Sea Watch trasportante migranti ha disobbedito agli ordini dello Stato italiano ed è entrata nelle acque territoriali italiane.
La cronaca, la politica, vivissime, mi hanno fatto interrompere la lettura gradevole dell’opulento saggio e mi hanno appiccicato a televisione, giornali e web.
Già, ma di fronte ai media ho pensato all’Andrea Doria, la nave inviata da Giolitti nel Golfo del Quarnaro che sparò qualche colpo di cannone su Fiume, ricordando a tutti che le armi, gli ordini, le leggi debbono provenire solo dallo Stato.
Ho spento la televisione ritenendo opportuno cannoneggiare la Sea Watch, non subito però, visto che lo stesso Giolitti salì al potere nel giugno del 1920, ma attese il dicembre dello stesso anno per porre fine all’occupazione dannunziana della città di San Vito, per sparare; prima seguì la tattica del Governatore Militare della Venezia Giulia Generale Badoglio che aveva raccomandato di attendere che D’annunzio divenisse cosa diversa da Fiume, dal resto d’Italia.

E Giolitti attese.
Ma poi procedette.
Per affermare quel senso dello stato che via via si era formato cominciando con il lavorare tutto il giorno, anche lui infaticabile mola, per il bene della Nazione, e della propria famiglia, e di sé stesso perché no; e l’infaticabile Mola, italiano del Piemonte, è orgoglioso di scrivere alcune sue pagine – ne aveva a disposizione! – per ricordare il di Giolitti e suo vecchio Piemonte: sodo, parco, discreto, efficace.

Far sbarcare subito i migranti in questo caso, accolti o no da altre nazioni europee, arrestare o fermare in qualche modo l’equipaggio tutto, senza nominare mai nome e cognome di questo o quel membro dell’equipaggio: non dispiace loro la pubblicità a buon prezzo – D’Annunzio se la guadagnò rischiando la vita in guerra per l’Italia decine di volte – multare  pesantissimamente, affondare la nave.
O altri seguiranno l’esempio facendo affondare lo Stato Italia.

Aldo Mola ha organizzato diversi convegni, durante i quali si è parlato del neutralismo di Giolitti, che comunque voleva trattare con l’Austria – Ungheria per ottenere l’annessione
di territori geograficamente italiani, e il 12 novembre 1920 concluse vittoriosamente la staffetta politica che condusse alla Vittoria italiana firmando il Trattato di Rapallo, grazie al quale l’Italia  raggiunse quasi ovunque sulle Alpi Giulie il confine naturale – fino al Monte Nevoso scrive Mola –, senza Fiume che fu eretta in Stato sovrano, ma confinante con l’Italia: in attesa.
Giolitti nelle sue memorie ricorda questo confine naturale sulle Alpi Giulie e, statista prudente come sempre, pone l’accento sul fatto che nonostante l’occupazione italiana delle terre orientali, fu solo col Trattato di Rapallo che ne venne sancita l’annessione, essendo stata riconosciuta dalla controparte serbo croato slovena e dalla comunità internazionale.

Giovanni Federico Giolitti, un neutralista prudente nel 1914 e 1915, che a suo tempo evitò il servizio militare usufruendo dell’esenzione perché figlio di madre vedova, come scrive Mola, con Ansaldo che mette invece in luce la numerosa parentela della madre e la serena condizione economica di lei.
Non prestò servizio militare, al contrario di Mussolini, Nenni, Togliatti, Vittorio Emanuele III nella Quinta Guerra d’Indipendenza (1915 – 1918), ma non disdegnò d’essere, lui piemontese, un buon terrone nel voler trattare con l’Austria – Ungheria l’acquisizione di territori geograficamente italiani; lo era terrone anche nel suo particolare, con l’acquistare un pezzetto di terreno dopo l’altro ed aggiungerlo a quanto già posseduto.
E Mola scrive del sempre ancora prudente allievo di Sella, col suo famigerato libro dei conti – Ansaldo riporta che vi annotò anche le spese per il funerale della moglie – dove appunto annotava tutto.
Non fu un eroe Giolitti – come tante volte fu D’Annunzio e furono decine di migliaia di soldati provenienti da tutta Italia –  ma fu qualcosa di molto raro, e non solo in Italia, fu capacissimo di fare ciò che aveva il compito di fare: amministrare una grande nazione.

A Fiume andarono tanti soldati e civili innamorati dell’Italia, rischiando la vita per mano di serbi, croati, francesi e infine anche per mano di italiani; andarono per amor di Patria in un posto dove era più facile morire e patire.
A bordo della Sea Watch sono andati politici in cerca di telecamere, in un posto a poca distanza dalla costa, dove non rischiano nulla di personale, rischiando in compenso di distruggere il senso dello stato.

Matteo Salvini non può in buona parte apparentarsi a Giolitti per quanto riguarda le intenzioni e le capacità amministrative, ma certo è che il senso dello Stato per quanto riguarda i confini d’Italia lo ha.
Non sembra avere molta compagnia.
Si legga Giolitti il senso dello stato  e non molli; da sempre la solitudine è compagna delle aquile, sono i corvi che volano in gruppo.

Ho avvertito che non avrei fatto una recensione seria; come si può farla senza aver finito di leggere il libro?
Colpa della Sea Watch.
Sono certo però che anche Giolitti avrebbe interrotto la lettura di un libro per andare a Lampedusa: la Storia la voleva determinare oltre che leggerla.
E quel che provo a fare anch’io.
Scusi caro Professor Mola.
Comunque, via!, s’è capito lo stesso che è un buon libro.
Vado a riaprirlo. 

(1) – Aldo A. Mola, Giolitti il senso dello stato, Rusconi libri, Santarcangelo di Romagna, 2019.

Fiume d’Italia
1919 – 2019
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La contraddizione del Ministro degli Interni

Politica del risparmio
e politica dello sperpero
di Matteo Salvini
Circumage

Metà giugno 2019

Politici nord europei, talvolta cafoncelli, tuonanti contro il debito pubblico italiano abnorme.
Vulcanici politici italiani eruttanti ingiurie contro la totale assenza di solidarietà europea per l’invasione migratoria abnorme.

Di particolare interesse capire se l’Etna dei vulcanici politici italiani Matteo Salvini stia studiando per passare dal Ginnasio – Ministero dell’Interni – dove ha continuato la meritevole azione del predecessore Minniti, fermando quella che è stata e vuole ancora essere a una minima distrazione nostra un’invasione della nostra nazione, per passare al
Liceo – Presidenza del Consiglio – dove la sbracata verbosità si paga con infiniti lutti e duoli, dove insomma la vita di relazione non si svolge più agli Interni della propria Patria nazionale, ma in continuo rapporto con il Consiglio dei Ministri delle altre nazioni nella edificanda Federazione Europea. E non solo.

Il non più sempre scamiciato Matteo è in contraddizione.
Fermando le folle di immigrati ha operato una politica del risparmio con l’evitare il loro mantenimento in attesa del lavoro che non c’è neanche per gli italiani, arginando l’aumento della criminalità diffusa, fermando la concessione di protezione sociale a chi non può vantare nessun avo che abbia pagato pegno per le guerre di unificazione nazionale, e con altri risultati ancora.
Non diminuendo il Debito Pubblico – sì, ora che è al Governo da un po’ ne assume la quota parte di responsabilità – ha invece operato una politica dello sperpero, col mettere a rischio la sovranità nazionale sui propri conti pubblici, diminuendo la propensione degli investitori a fare il loro mestiere in Italia, non potendo fare calcoli seri su una futura maggiore protezione sociale per i più deboli, e con altre conseguenze ancora.
Ricorda signor Ministro quanti giornali di carta e quanti video lodavano i soccorsi in mare dei migranti?, milioni di pagine e di ore non sono riusciti a nascondere il lugubre traffico e le sue nefaste conseguenze per gli immigrati e per i territori d’approdo: la verità viene sempre a galla.
Stia certo quindi signor Ministro che gli italiani, talvolta indolenti anche nell’esercizio del potere analitico della propria abbondantissima dotazione individuale e nazionale di neuroni, non si faranno ingannare neppure a proposito del Debito Pubblico: lo sperpero che ne deriva finirà per punire l’irresponsabile cialtrone che lo avvallerà – che triste pagliacciata quella proposta dei minibot!, roba che neanche Lucignolo avrebbe suggerito  – e premieranno elettoralmente la nuova coppia Minniti – Salvini che lo arginerà.
Lo avrebbe già fatto, se Mattarella, Tria  – e anche Conte? – militassero insieme in una partito diverso dal suo.

Coraggio signor Ministro, ha fatto cambiare rotta agli stragisti del mare e alle ipocrite navi straniere, ora c’è per lei da fare un’altra difficile virata incitando al pagamento del Debito Pubblico; si compri un salvadanaio di terracotta e un libro su Giolitti, vedrà, entrambi espirano poche chiacchiere ma ferree regole di parsimoniosa amministrazione.
Cambi rotta insomma; lo ha già fatto una volta passando dalla mentalmente e territorialmente nebbiosa secessione regionale al risorgimentale  “Viva l’Italia”: ha visto che risultati!; lei capì che quattro elmo cornuto portanti in canottiera non avevano fatto dimenticare agli italiani che Vittorio Emanuele II rischiò vita averi e corona caricando a cavallo gli austriaci, che Mazzini passò metà della sua vita in galera, che Cavour invece di spendere l’intera sua vita al Cambio al gioco e a copulare per salotti si era accontentato di farlo solo durante l’ora di ricreazione, che Garibaldi rischiò la vita cento volte.
Ecco, ripassato Cavour, ripassi Giolitti, Einaudi, Tria.

Vedrà che risultati.
Di nuovo.

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La profezia di Leo Longanesi

I vecchi zii d’Italia Parolin e Mattarella
Magna voce modica mente incedit mediocritas

Fine maggio 2019

A proposito della richiesta di protezione per la propria parte, rivolta a Dio da un politico di casa nostra, il cardinale Parolin (nomen omen) el ga dito una parolina giusta, il Serenissimo infatti ha detto che è pericoloso invocare Dio – che unisce – per una parte sola – che divide –; lo ha detto con voce lieve e sicura, sorridente, e lungi mirante verso la Storia e verso il Futuro.
Ad ascoltarlo veniva alla mente il bozzetto scritto da Manzoni, là dove rappresenta le richieste delle autorità lombarde perché si rintracci il tessitore fuggitivo Renzo, e la risposta data dal politico della Repubblica Veneta con toni e modi e parole che anche Parolin gavaria dito se fosse stato lui a interpretare il personaggio seicentesco del grande romanzo storico italiano.
Già, alla fin fine l’Italia viene tenuta a galla dal gilet dei Mattarella, e dal sorriso non ingenuo o mellifluo ma cautamente cordiale dei Parolin.

Dopo l’immane disastro – sicut Vittorio Emanuele Orlando dixit – della sconfitta subita dall’Italia nella prima parte della Seconda Guerra Mondiale (1940 – 1943) bene profetizzò Leo Longanesi quando scrisse che ci avrebbero salvati le vecchie zie.
Non è dato quantificare quanto contributo abbia portato al contenimento dello spread e del debito pubblico il quotidiano oscuro ma preziosissimo lavorare e vivere delle vecchie zie con l’equilibrio e il decoro ottocentesco cui voleva alludere il grande giornalista.
Certo è che qualche vecchio zio sta combattendo alla grande perché il buon senso vinca le avventurose analisi politico economiche dell’urlatore di turno.
Ulteriore conforto viene dal rilevare che un vecchio zio come Parolin xe un italian delle Venezie e un vecchio zio come Mattarella da Sicilia nisciu.
Il che suggerisce che al di qua delle Alpi la roba buona si trova da per tutto.

E ad avere l’attenzione di ascoltarla quando parla a voce bassa, finisce che si scelgono i governanti migliori.

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