Qualcuno ha più paura delle gazzelle africane che dell’Orso russo

Morire per Tusk?
Praemonitus praemunitus

Il presidente del Consiglio Europeo è Donald Tusk.
Polacco.
Pare non gradisca la redistribuzione obbligatoria degli immigrati sbarcati nel sud della Comunità Europea tra tutti gli stati che la compongono.

La sua nazione, la Polonia, fu invasa nel settembre del 1939 da tedeschi e sovietici. I cittadini europei di allora si chiesero se valesse la pena morire per Danzica (la città, compresa nei confini polacchi, rivendicata dalla Germania); si mossero quelli che temettero per le proprie nazioni la vicinanza del sempre più ingombrante Terzo Reich.
A seguito della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale i sovietici estesero la loro sfera d’influenza anche alla zona tedesca. I cittadini europei di allora si indignarono molto, continuando ad andare al cinema e al ristorante a ovest della cortina di ferro; non si mosse nessuno.
E’ passato parecchio tempo da allora ed è cambiata la carta geografica d’Europa; anche recentemente, seppure non sia stata ancora codificata dagli atlanti: l’Ucraina ha subito l’immigrazione clandestina di parecchi soldati russi (ex sovietici) così che la Crimea e vaste zone orientali del suo territorio non sono più amministrate da Kiev. I cittadini europei si sono chiesti se valesse la pena morire per Sebastopoli; hanno preferito non strafare limitandosi ad optare per qualche rinuncia economica conseguente alle sanzioni varate contro Mosca.
Considerato il tepore interventista degli europei di cui si è scritto, se ci fosse un nuovo flusso immigratorio clandestino dalla Russia, questa volta verso la confinante Polonia, è ragionevole pensare che riflettendo sull’atteggiamento di Tusk, nessun cittadino europeo specie se spagnolo, italiano, maltese o greco, riterebbe suo dovere morire per Varsavia.

E’ sicuro il signor presidente Tusk di essere un buon patriota polacco col temere le disarmate gazzelle africane più del cingolato Orso russo non del tutto desovietizzato?

Claudio Susmel 

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Revisione del Trattato di Pace del 1947/8

Un’ipotesi di transazione confinaria con la Slovenia
Summam sanare iniuriam

La revisione del confine italo – sloveno potrebbe inizialmente riguardare il suo percorso centro settentrionale:

Una parte di territorio naturale italiano ulteriore rispetto al confine politico attuale verrebbe annessa all’Italia facendo proseguire il confine politico attuale dalla cima del Monte Sabotino in direzione nord est fino a raggiungere il punto più vicino del fiume Isonzo; raggiunto il fiume Isonzo, facendo proseguire il confine politico lungo il suo corso fino al punto del fiume Isonzo più vicino al Monte Tricorno; da quel punto del fiume Isonzo, procedendo in direzione nord est facendo raggiungere al confine politico lo spartiacque sul Monte Tricorno; dallo spartiacque sul  Monte Tricorno, facendo proseguire il confine politico lungo lo spartiacque alpino in direzione nord ovest fino a raggiungere il confine politico attuale(1).

Non v’è dubbio che ritenere legittimo lasciare interamente in territorio sloveno il Monte Tricorno (cioè anche il suo versante occidentale, quello e solo quello correttamente denominato Triglav) vero e proprio bastione divisorio di 2.863 metri e cardine delle Alpi Giulie settentrionali, risulta inaccettabile non solo ai cittadini democratici italiani ma anche ai cittadini democratici del resto d’Europa, a qualsiasi geografo (professionista dilettante o apprendista che sia), a qualsiasi istituzione civile o militare che abbia un minimo di coscienza europea, che abbia un minimo di coscienza.
Proprio come risultò inaccettabile nel 1941, non solo ai cittadini democratici italiani ma anche ai cittadini democratici del resto d’Europa, includere Lubiana nel territorio politicamente italiano.

Si consideri che la revisione confinaria suggerita, se consensuale e pacifica, sarebbe minima rispetto a quella che verrebbe indicata dall’applicazione integrale del criterio di separazione dei bacini idrografici, ma presenterebbe un vantaggio rispetto alle precedenti revisioni confinarie seguite alle guerre tra italiani e sloveni: non causerebbe neanche un morto.

1) –  Riesce utile consultare  T.C.I. carta d’Italia foglio 2, 1: 1.500.000
I.G.M. carta Trieste, 1:1.000.000

                                          I.G.M. carta F. V. G. 1:250.000
                                          I.G.M. fogli 14a, 26, 26a, 1:100.000
                                          Claudio Susmel, op. cit., lo schizzo e le carte in pagg. 90/93.

Claudio Susmel 

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Revisione del Trattato di Pace del 1947/7

Una ipotesi di transizione confinaria con la Francia
Ex pluribus Europa

Una ipotesi di transazione confinaria con la Francia
Sono importanti anche i più di 700 chilometri quadrati ceduti alla Francia, non solo i più di 8.000 ceduti alla Jugoslavia; i chilometri quadrati ceduti alla Jugoslavia superano gli 8.000 considerando insieme quelli ceduti a titolo giuridico col TP47 e quelli della “Zona B” del Territorio Libero di Trieste perduta di fatto, perdita che verrà successivamente codificata a titolo giuridico col Trattato di Osimo del 1975.
I kmq ceduti alla Francia sono importanti anche perché includono – chi scrive prende in esame solo i territori naturali ceduti per effetto del TP47 compresi nell’ipotesi di confine naturale assunta in queste pagine – il bacino idrografico del Moncenisio e la sorgente  del fiume Roja: l’acqua; si legga l’articolo 9 e l’allegato III del TP47 in proposito, per cogliere l’importanza anche economica di queste sottrazioni territoriali da parte della Francia.
Risulta inoltre interessante, specie per gli studiosi del diritto internazionale, prendere nota di come il TP47 abbia considerato la Francia di Vichy solo come parte indivisa –  considerandola cioè insieme alla Francia di Parigi – della Francia Riunita (dagli anglosassoni) del dopoguerra. Francia Riunita libera, democratica, e dimentica delle atrocità commesse ai danni degli ebrei sul suo territorio centro meridionale confinante con le Alpi, territorio già peri nazista della Francia di Vichy, che, con alto senso della giustizia, fu accresciuto col TP47 ai danni dell’ormai ex aggressore fascista italiano.

Né bisogna dimenticare che le sottrazioni limitate di territorio italiano da parte della Francia vanno considerate insieme al sostanziale appoggio dato da essa alle richieste jugoslave del dopoguerra, appoggio dato col proporre la linea di confine orientale peggiore per l’Italia tra quelle ipotizzate dagli alleati occidentali. Stupisce il commento in proposito della storica: ”La linea francese era un po’ più severa e, oltre a restare più a ovest per tutto il percorso, escludeva dal possesso italiano Pola e tutta l’Istria meridionale.”(1)
“Un po’ più severa” viene giudicata una linea che, al contrario delle linee statunitensi e inglese che lasciavano all’Italia tutta l’Istria occidentale, toglieva all’Italia tutta l’Istria tranne quella parte dell’Istria nord occidentale compresa tra Cittanova e Muggia, lasciando quindi all’Italia circa un sesto della superficie complessiva dell’Istria geografica, a fronte – volendo mettere in rilievo il criterio etnico e non quello geografico – di un’Istria divisa a metà tra lingua italiana e lingue slave.

La Francia repubblicana usurpa, occupandole ancora oggi, Briga, Tenda, il Monte Chaberton, il monte Tabor, il Ripiano del Moncenisio e altro ancora, quella monarchica annette tutto il Nizzardo, quella napoleonica (tralasciando di descrivere il delirio del suo dilagare oltre le Alpi nell’Italia occidentale) crea ad oriente le Province illiriche, quella rivoluzionaria annette la Corsica.
Domani?
La Francia ha interesse ad un confine sul Reno sicuro – quale che sia il grado di aggregazione istituzionale europea -, ed alla diminuzione di quel tasso d’inimicizia latente tra nazionalisti francesi e patrioti italiani, quei patrioti che non mancano mai in nessuna nazione, neanche in Italia, anche se si assopiscono di tanto in tanto e qualche volta sembra sprofondino nel sonno più comatoso.
Questo interesse potrebbe condurre il governo francese a percorrere almeno un microscopico tratto di quella strada che conduce verso un giusto confine geografico tra le due nazioni, strada che non è resa impervia dalla difficoltà di comprensione dei reciproci diritti ma solo dalla più miope delle politiche nazionalistiche galliche.

Una prima revisione confinaria potrebbe riguardare tre zone del confine alpino italo – francese:
A) – Il valico del Montgenevre – Monginevro, sul cui territorio verrebbe costituito un primo vero e proprio embrione di Federazione Europea (franco – italiano inizialmente), comprendente i Comuni di Montgenevre e Claviere.
Si pensi a una restituzione giuridica all’Italia del territorio a est del valico del Monginevro assegnato alla Francia dal TP47 e del territorio a est del valico del Monginevro assegnato all’Italia dal Trattato di Utrecht del 1713 (prescindendo dalle modifiche ad esso apportate in seguito), contestuale al conferimento dello stesso territorio, di fatto e di diritto, ad una edificanda Provincia europea a legislazione speciale e bilinguismo perfetto in un territorio indipendente, amministrato da due “Presidenti” italo – francesi;  esempio da adottarsi in seguito anche in altri valichi europei.
Il territorio conferito alla Federazione Europea verrebbe ottenuto, fatto centro il Valico, tracciandogli intorno una circonferenza (dal diametro ragionevolmente costante ma ineguale dato il territorio montagnoso su cui insisterebbe) che consentirebbe di comprendere anche parti di territorio attualmente italiano.
Liberté. Di transito.
B) – Il monte Chaberton con il suo territorio fino allo spartiacque alpino, che verrebbe restituito all’Italia, con l’obbligo del bilinguismo perfetto italo – francese sul suo territorio e della sua smilitarizzazione; si potrebbe edificare sulla sua cima una sorta di osservatorio naturalistico italo – francese.
Il passaggio di nazionalità – con la sua cerimonia – andrebbe gestita mettendo in risalto l’onore della Francia che cederebbe del territorio non per la forza delle armi altrui ma per il suo ritrovato senso della giustizia dimostrato con i fatti anche nei confronti dei nemici di ieri.
Egalité. Della legge, in questo caso della legge naturale degli spartiacque alpini.
3) – Il Passo del Piccolo San Bernardo (2), sul cui territorio verrebbe costituito un secondo vero e proprio embrione di Federazione Europea (franco italo – italiano inizialmente) con territorio proprio. Di fatto e di diritto un Comune europeo a legislazione speciale e bilinguismo perfetto in un territorio indipendente, governato da due “Sindaci” italo – francesi (esempio da adottarsi in seguito anche in altri valichi europei).
Il territorio conferito alla Federazione Europea verrebbe ottenuto, fatto centro il Passo, tracciandogli intorno una circonferenza (dal diametro ragionevolmente costante ma ineguale dato il territorio montagnoso su cui insisterebbe) che consentirebbe di comprendere anche parti di territorio attualmente italiano.
Vi verrebbe edificato un centro di studi interreligioso ed una facoltà di lingue che preveda l’insegnamento del francese, dell’italiano, e del latino da adottarsi quale lingua federale europea; il concittadino europeo che sta leggendo blocchi il terrore insorgente in lui per la prospettiva di dover imparare o perfezionare il latino in quanto lingua ufficiale dell’Europa: verrebbe usato solo per la codificazione delle leggi federali (ma con la traduzione a fronte delle lingue nazionali ufficiali del territorio interessato), e per rare occasioni ufficiali.

Quanto premesso per tentare di eliminare almeno in parte gli antichi reciproci rancori per le pugnalate dell’altro ieri, quella data dall’Italia alla Francia il 10 giugno del 1940 e quella data dalla Francia all’Italia il 10 febbraio del 1947.

(1) Lorenzini, op. cit., pagg. 49 e 50).
(2) Si ricordi che il versante orientale del valico alpino del Piccolo San Bernardo, prima pertinente al territorio regionale naturale del Piemonte, è oggi pertinenza naturale al territorio regionale della Valle d’Aosta, Regione istituita dopo la Seconda Guerra Mondiale per distacco dal Piemonte.

Claudio Susmel

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