Gennaio 2019
I controlli anti trust sull’operazione di acquisto della maggioranza azionaria dei cantieri navali francesi Saint – Nazaire da parte dell’italiana Fincantieri, chiesti dalla Francia con il pronto soccorso dei tedeschi, complicano ulteriormente l’operazione allungandone i tempi.
Magra consolazione quella che ci viene dal rilevare che la mancanza di parola e la totale assenza di un pur flebile senso dell’onore provengano dai confinanti transalpini: il danno
lo subiamo anche noi italiani.
Insieme al resto d’Europa.
Le potenze nucleari di Cina, Russia, Stati Uniti d’America e C. (Commonwealth) gioiscono.
E’ ciò che sono soliti fare i terzi tra due litiganti.
Il Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani si è stupito dell’accaduto; se avesse inviato ad Oblo’ la sua e – mail sarebbe stato prontamente inserito nell’indirizzario e si sarebbe risparmiato uno stupore di troppo perché avrebbe letto l’articolo sottostante pubblicato da Oblo’ il 26 settembre del 2017.
La nazionalizzazione dei cantieri navali Saint Nazaire da parte della Francia
non costituisce il danno maggiore per l’Italia
Antequam maiorem damnum Res Publica perferre debeat
A chiunque sia capitato un contratto non andato a buon fine, risulta più facile capire l’atmosfera seguita alla rottura delle trattative tra la Francia e l’Italia per l’acquisizione della maggioranza azionaria dei cantieri navali Saint Nazaire da parte di Fincantieri, in particolare le arrabbiature di chi avendo rispettato ogni obbligo contrattuale vede il suo interlocutore mancare alla propria parola.
Arrabbiature forti, a meno che non abbia cominciato a riflettere con meno emotività sulla disinvoltura con cui l’interlocutore era tornato sui propri passi. Passi che sono e saranno sempre, nel caso della battaglia contrattuale in corso, sul suolo di Francia.
In Francia si svolgerebbero i prossimi duelli economici, industriali, organizzativi, politici tra francesi e italiani, e quelli giuridici in una città, abbondantemente francofona, non lontana dalla Francia: Bruxelles.
Altro che insistere per avere il 51% dell’azionariato dei cantieri e non il 50% come richiesto dalla Francia! A volerla proprio combattere questa battaglia, che non si esaurirebbe di certo dopo aver firmato quattro carte che la Francia ha dimostrato di volere e potere stracciare a suo piacimento, ci si assicuri la maggioranza pattuita all’inizio, senza tentennamenti, e comunque senza illusioni su un’improbabile lealtà futura da parte di un contraente che la Storia ci dipinge come secolarmente fedifrago nei confronti dell’Italia.
E poi, siamo sicuri che energie, denaro, intelligenza, propensione a navigare – da Colombo in qua – non siano più proficuamente impiegabili sulle coste italiane piuttosto che sulle lontane coste francesi oceaniche?
Non si tratta di costruire nessuna città di fondazione, non ce n’è bisogno visto che nonostante tutto i collegamenti ferroviari italiani sono tra i primi al mondo. E’ sufficiente un porto. Non si trova un luogo adatto su ottomila chilometri di coste italiane per costruire un porto nuovo o per ingrandirne uno già esistente che possa accogliere i bacini di carenaggio più grandi di quelli di Fincantieri e quant’altro utile per un’aumentata dimensione produttiva?
Salvo chiamare altre nazioni europee ad acquistare il 40 per cento delle azioni dei “Nuovi Cantieri Navali Europa”.
I ministri e i progettisti italiani competenti affrontino il problema, mettendosi in viaggio per l’Italia con un atlante sotto braccio e in agenda i numeri di telefono di Capi di Stato che sanno rispettare l’onore di una parola data dai propri predecessori in nome della comune nazione.
Invece di atendere senza arretrare di un millimetro – che resta l’opzione minima, altrimenti anche le future controparti dell’Italia si sentirebbero autorizzate a stracciare qualsiasi accordo già firmato per ottenere di più – accettiamo senz’altro la decisione della Francia.
L’impressione è che sia una delle poche decisioni prese dalla Francia a vantaggio dell’Italia.
Infatti se ne sta pentendo.
“Servizio obbligatorio di leva civile in Italia” Claudio Susmel
Fiume d’Italia
1919 – 2019
Memoria Patriae prima vis
Nella notte tra l’11 e il 12 settembre 1919, il Colonnello dell’Esercito Italiano Gabriele D’annunzio, raccolti intorno a sé alcuni volontari e pochi mezzi, attraversò i territori della Venezia Giulia, presidiati dalle Forze Armate Italiane a seguito delle condizioni armistiziali fissate tra Italia e Austria – Ungheria il 3 novembre del 1918, e intorno al mezzogiorno del 12 settembre entrò a Fiume per quella che si sarebbe chiamata Via della Santa Entrata.
Ammainò le bandiere dell’Intesa, lasciò sventolare solo il nostro Tricolore.
A onore degli Alleati e dell’Associato d’Italia va ricordato che se non favorirono in alcun modo l’annessione di Fiume al resto d’Italia, pure non reagirono cruentamente all’occupazione dannunziana.
E Fiume?
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